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Una mattina, in treno

Da Leragazze

Una mattina, in treno

Ore 6.45, FrecciaArgento verso Venezia. Carrozza piena, i viaggiatori non sono ancora del tutto svegli: leggono il giornale, accendono il computer, ma poi crollano addormentati con la testa che ciondola assecondando il movimento del treno. C’è un bel silenzio, quindi prendo il libro contando di sprofondare rapidamente anch’io tra le sue pagine. Non faccio in tempo ad aprirlo che arrivano due tizi che cominciano subito a parlare parlare parlare, a voce alta e senza pause. E dove stanno di posto queste due persone moleste? Non è difficile: stanno proprio davanti a me, separati tra loro dal corridoio. Hanno l’aria rampante, fanno volare parole come milioni (di euro, ovviamente), squadra, clienti, successo. Capisco subito che non mi sarà possibile né leggere né dormire. Metto via il libro, accendo l’Ipod e intanto li guardo meglio.

Entrambi indossano un vestito scuro, la cravatta in tinta unita, scura anch’essa, un po’ di pancetta che preme dietro la cinta dei pantaloni. Orologio di grido al polso e una Montblanc in mano a entrambi che utilizzano per scrivere su fogli pieni di tabelle e di numeri. Sempre senza smettere di parlare. Uno dei due ha una gomma in bocca, chiacchiera e ciancica, e quando si stufa la butta nel contenitore dei rifiuti senza neppure avvolgerla con un pezzo di carta e asciuga le due dita bagnate sul sedile. C’è una bella dose di esibizionismo in quello che dicono e nel tono e nel volume che usano: nessuno dei viaggiatori della carrozza può fare a meno di sentirli.

Mi viene da pensare a quanto si sentano fichi e a quanto, invece, non si rendano conto di sembrare, vestiti così, dei tranvieri o dei controllori, con tutto il rispetto per costoro. Ho appena finito di formulare questo pensiero che subito parte la seguente scenetta. Uno dei due si alza per andare al bagno. Al ritorno trova un ragazzo seduto al suo posto: gli fa cenno di alzarsi per farlo sedere. Questi invece di muoversi inizia a frugarsi nelle tasche finché, trionfante, gli mostra il proprio biglietto. Scambiato per il controllore! E io che avevo detto?

Non potete immaginare la sua faccia! Ma forse la mia sì.



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