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Una, nessuna, centomila

Creato il 17 marzo 2011 da Sogniebisogni
Una, nessuna, centomila
Omaggi dubbi: stivali Alexander

Anche il 150 anniversario dell’Unità d’Italia è trascorso fra tanti discorsi, frecce tricolori e un po’ di bandiere ai balconi (meno di quelle che si mettono in giro quando l’Italia entra ai quarti di finale). Il 17 marzo ha innumerevoli demeriti. È una data troppo burocratica: bisogna andare a cercare su Wikipedia che cosa è successo quel giorno per sapere cosa si festeggia. In più si sovrappone a quella più “naturale” del 20 settembre, ormai è troppo politically uncorrect per essere apprezzata dal Vaticano (peraltro dovrebbero ringraziare il Piemonte che privandoli del potere temporale ha fatto loro riguadagnare un’autorità spirituale che altrimenti avrebbero perso da tempo). Arriva come una specie di pateracchio che ognuno festeggia per i motivi suoi: la sinistra contro la destra e la destra contro la sinistra e tutti quanti contro i leghisti che a loro volta propugnano il federalismo come “vero” completamente del Risorgimento. Flores D’Arcais, sul Fatto Quotidiano faceva notare come l’identità nazionale si debba nutrire di “esclusione”, si debba fondare sull’idea di noi contro l’Altro e non possa quindi manifestarsi come una specie di compromesso che accontenta tutti, fascisti, antifascisti, secessionisti e unitaristi, populisti e istituzionali. Eppure il discorso dell’identità è pericoloso, ce lo ricorda un articolo di Andrea Minuz sul Riformista. Ogni regime, incluso quello fascista, nutre l’idea di un’Unità di Italia che si manifesta sotto la specie di rinnovamento spirituale con l’esclusione di elementi “spuri” dalla società. Questo obbliga a cancellare le articolazioni, le sfumature, oppure provoca contraccolpi, lasciando riemergere particolarismi ed egoismi che si pensavano superati, e la dilagante retorica strapaesana della Lega ne è una manifestazione. Vorrei dunque un paese più legato al concetto di cittadinanza che di identità, dove diventa italiano anche il pizzaiolo egiziano sotto casa mia, senza per questo essere costretto a parlare dialetto bresciano o ad adorare Gesù Cristo in croce. Uguali diritti, uguali doveri, istituzioni che funzionino. Il merito che ha il 17 marzo è forse quello di sollevare un dibattito su questi punti delicati, che anche la sinistra esita ad affrontare. Ora abbiamo tre feste fondative del nostro Stato: il 17 marzo, festa nazionalista, il 25 aprile, festa antifascista, e il 2 giugno, festa istituzionale. Bisognerà accettare, prima o poi, che le feste si riducano a una. Forse in questa reductio sta il significato ultimo e compiuto della nostra unità civile.



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