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Se dovessi dare una definizione di Rock 'n' Roll sarebbe questa. Sarei io. Io in quest'istante, mentre viaggio di notte, col trucco sfatto e un mal di collo boia. Rock 'n' roll è la ricerca vana di una posizione comoda abbastanza da dormire sul sedile. La fame pseudochimica che a fasi alterne mi attanaglia lo stomaco. La sfilata di luci e di cartelli che monotona divide lo spazio sull'autostrada. E allora cosa importa se la causa, alla fin fine, rock 'n' roll non lo è? Se magari è pop, come in questo caso, e fa sembrare le persone un cielo stellato? Perchè le sensazioni, delle etichette, se ne fregano. E io, prima che lo show iniziasse, ho guardato indietro. Per la prima volta, in tutta la mia vita da concertista, ho avuto la pelle d'oca. Quella vera, intendo, non l'abuso terminologico in cui troppo spesso son caduta anch'io. Stavolta c'erano davvero, le bollicine sulla pelle. La scarica di brividi lungo la schiena. Le lacrime a fior d'occhio, quelle che non lasci scendere perchè ti sentiresti stupida. E allora pungono. Bruciano. Definizione grafica dell'espressione “OH MIO DIO”.Quindi è questo, l'Arena di Verona. E' un ammasso di gente stipata dentro a un Tempio che è già bello di per sé. E tu lo guardi. Guardi quelle persone colorate, felici, radunatesi lì da ogni parte d'Italia sulla spinta di una stessa passione. Le guardi e ti sembrano stupende, tutte. Anzi, ti sembra stupenda l'intera umanità. Per la prima volta, in tutta la mia vita da concertista, più che il palco avrei guardato loro. Non mi ci sarei mai stancata, dico davvero. Perchè erano stelle. Lo eravamo. Decine di migliaia di Supernova iPhone- munite pronte a esplodere sulle note di un piano. Non si erano ancora spenti, i riflettori. Ed io, guardandole, pensavo emozionata: “chissà cosa si prova”. A salire sul palco. A vederci così. “Chissà cosa prova” - mi chiedevo- “suo padre”. E in un attimo mi prendeva una fitta di strano orgoglio. Lo stesso che, inspiegabilmente, m'aveva colpita leggendo quel cartello con su scritto “esaurito”. Beh, non prima di aver pensato che sarebbe stato meglio usare il termine inglese. Dai, ammettiamolo: “Cesare Cremonini esaurito” fa ridere. Vien da pensare che l'abbiano internato in manicomio. A me internerebbero, in effetti, se vedessi tutto questo. A poco piú di trent'anni. Per me. (Foto postata da Cesare Cremonini su Twitter)E' che Cesare, in fondo, mi piace pensarlo un po' come una sorta di “fratellone musicale”. Sono cresciuta con le sue note. E' stato il primo cantautore che io abbia mai seguito. E posso essere fuggita in Spagna. Posso aver cercato rifugio in altre voci e canzoni. Posso essere, semplicemente, cresciuta. Ma sono passati dieci anni esatti dal primo concerto dei LúnaPop a cui io sia andata. E dopo tutto questo tempo, continuo a comprare i suoi dischi. Ad andare ai suoi live quando é in zona. A parlare di lui con quella stessa altra voce che un po' l'ha “sostituito” come oggetto attivo della mia vita di fan. Voglio dire: non serve un genio a capire che c'é un perchè. Per questo dovevo esserci, a Verona. La sua prima volta in Arena. La mia prima volta in Arena. Il coronamento di un sogno sold out sotto la Luna Piena. Ha fatto nascere il Royal Baby, quella Luna lí. E pure la figlia della Cruz. La guardo e penso che é spettacolare. Mi verrebbe da parlarci, persino, come fosse un essere umano. S'é messa in ghingheri per l'occasione. Lei che é stata la prima musa, in fondo. Ispiratrice del nome di un gruppo che a sua volta ha ispirato il nickname che ancora porto. Lei...sí, doveva esserci anche lei. E allora io, nel parlare di questo concerto, per una volta non mi soffermeró sulle canzoni. Lo so, é paradossale. Ma cosa dovrei dire? Sono parte della mia vita. Tutte e venticinque, tranne forse quell'”Hello” che non mi ha mai convinta. Sono il 50% almeno della mia intera colonna sonora. Davvero, che bisogno c'é di commentare? Preferisco dirvi dei brividi. Raccontarvi che stare lí é stato un po' come farsi largo al centro di una festa. Una di quelle feste di Paese, magari, dove finisci con l'incontrare tutti senza bisogno di mettersi d'accordo prima. E io li ho incontrati davvero, tutti. Gente che non vedevo da una vita (“Ci siamo conosciuti almeno 15 anni fa, ti rendi conto?”). Gente con cui condivido lo spazio virtuale di un altro fanclub. Gente che non avevo mai incontrato fuori dallo schermata di Facebook, e che peró mi sembra di conoscere da sempre. Gente che mi saluta per la strada (“ti ho vista a Pordenone”), e io fatico a ricordare chi sia. Gente che ho conosciuto a Spilimbergo. Al Live di Udine. Gente che mi vede dall'alto e che, peró, non riesco a salutare. Gente che compie gli anni. Gente che mangia gelati. Volti che, da soli, sono giá ricordi in maglia rossa. Anche se sul Forum non ci entro da un po'. Colpevole.Poi, sulle note di Vorrei, mi torna in mente Dani Martín. Penso che avrebbe dovuto esserci. Che gli sarebbe piaciuto. E, di nuovo, una fitta d'orgoglio in quel sentirmi stupidamente una sorta di strano filo conduttore. E' che sogno di unire i miei due mondi. Ma, in effetti, non sono giá uniti? I dischi regalati. Le domande a cui ho risposto. Il video che condividerei, se non mi morisse la batteria della macchina fotografica proprio a metá del brano. La stessa sensazione di conoscere chiunque che ti fa sentire al centro esatto del tuo mondo. Che sia in Italia o in Spagna, poi, é uguale. Perché andare a sentire Cesare Cremonini all'Arena di Verona é stato come rendersi conto, una volta di piú, del potere aggregante che ha la musica. Della magia che la pervade. Delle avventure che ti fa vivere. Dei legami che crea. E crescere, forse, vuol dire anche fregarsene se non hai la prima fila o – che ne so!- un autografo all'uscita. Perché tra abbracci e palloncini colorati, sai che questa serata la ricorderai per un bel po'. Eccome.
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