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La trama (con parole mie): Meghan è una anchorwoman di una tv locale a Los Angeles tutta d'un pezzo, in corsa per un posto da conduttrice in un network ben più grande ed importante di quello in cui lavora. Quando, lasciata dal compagno ed apparentemente esclusa dalla rosa dei candidati per il posto che sognava, decide di concedersi una notte brava con le due amiche Rose e Denise, per lei inizia un vero e proprio ottovolante di emozioni: conosce infatti il barman del locale, un tipo decisamente interessante di nome Gordon, e dopo aver passato qualche ora in sua compagnia, fugge dalla casa della nuova conquista soltanto per ritrovarsi inghiottita dallo stralunato, curioso, grottesco mondo della strada finendo nel mirino di un tassista, stringendo un'improbabile alleanza con un gruppo di spacciatori del ghetto ed un evento dopo l'altro perfino nella lista dei ricercati della polizia.
Peccato che, il giorno dopo, la donna debba sostenere la prova decisiva con gli emittenti del network che avrebbe voluto nel suo futuro, nel frattempo tornati sulle loro decisioni: come se la caverà l'improvvisata casinista di giallo vestita?
Era il pieno degli anni ottanta quando Martin Scorsese confezionò uno dei suoi film più particolari, nonchè uno dei miei favoriti del regista newyorkese: Fuori orario.
Dai tempi della prima visione del supercult appena citato, rimasi affascinato dalle grottesche disavventure del protagonista nel corso di un'indimenticabile notte per le strade della Grande Mela: da allora sono passati trent'anni, e numerosi sono stati i registi che, con risultati ovviamente alterni e mai davvero all'altezza, hanno cercato di seguire le orme del vecchio Marty.
Steven Brill non è dunque l'ultimo ad avventurarsi nel genere, sfruttando la sempre divertente Elizabeth Banks per raccontare l'epopea notturna - questa volta a Los Angeles - di una giornalista televisiva in cerca dell'ingaggio della vita che, per dimenticare l'ennesimo smacco, decide di seguire il consiglio delle amiche del cuore liberando se stessa in una "notte da leonesse" solo per ritrovarsi al centro di un caleidoscopio di eventi uno più grottesco dell'altro.
Senza dubbio, Una notte in giallo - adattamento neppure troppo agghiacciante, questa volta, dell'originale Walk of shame - non brilla per originalità o imprevedibilità - tutti sappiamo bene che, alla fine della storia, per la nostra eroina della strada abbigliata stile Titti le cose si sistemeranno come nelle migliori commedie romantiche -, ed al contrario del già più che citato Fuori orario la logica non riesce a farla sempre da padrona, eppure la pellicola scorre molto in scioltezza regalando un'ora e mezza senza impegno alcuno facendosi a suo modo voler bene - momenti come il faccia a faccia con i rabbini sono davvero divertenti -.
In fondo, per questo tipo di proposte, dovrebbe essere sempre così: poche pretese, ritmo veloce e la capacità di intrattenere senza per questo far pesare i propri limiti, affidandosi a protagonisti in parte
- sia la già citata Banks che James Marsden, tipico Big Jim tutto d'un pezzo perfetto per il perfetto boy scout, senza dimenticare la vera scoperta della pellicola, la scombinata Denise di Sarah Wright - e ad uno script che non brillerà per innovazione o genialità ma che porta a casa la pagnotta, un pò come una sbronza con gli amici in un locale conscia di non poter mai aspirare ad essere una degustazione da distilleria rinomata o momento magico sperduti in qualche località remota in una baita con il camino acceso ed un single malt di diciotto anni nel bicchiere.
Nelle stesse situazioni associabili alla fantascienza vissute da Meghan - e vi assicuro che momenti in stile Fuori orario ben oltre il grottesco se ne vivono parecchi, girando per la strada in stati e ad ore poco proponibili - ho trovato una componente naif in grado di scardinare la parte più critica e anche solo lontanamente radical del sottoscritto e permettere agli occupanti di casa Ford di dedicarsi ad un sano relax da divano privo di sensi di colpa e lontano dalla furia dei tempi d'oro delle bottigliate, pronto a regalare anche diverse sonore risate alla faccia di qualunque pretesa che a volte si ha nei confronti di una visione.
E onestamente, se il prezzo da pagare dev'essere il tipico finale consolatorio da film a stelle e strisce, per una buona dose di simpatia, un accenno di Call me maybe - lo ammetto, un guilty pleasure anche per un tipo rock come me - ed il pensiero che ogni tanto una nottata così ci vorrebbe proprio, per sentirsi ancora più vivi, sono disposto a pagarlo.
Purchè si tratti di una cosa rapida e indolore.
Come uno shot. Di cui non ti pentirai almeno fino al mattino dopo.
MrFord
"Hey, I just met you,
and this is crazy,
but here's my number,
so call me, maybe?"
Carly Rae Jepsten - "Call me maybe" -
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