Una nuova ipotesi per gli elettroni di Van Allen

Creato il 03 dicembre 2013 da Media Inaf

Secondo una nuova ricerca, in fase di pubblicazione su Physical Review Letters, gli elettroni presenti negli strati esterni delle fasce di Van Allen sarebbero accelerati a velocità relativistiche da strutture mai osservate prima: doppi strati di plasma che appaiono e scompaiono nella seconda fascia. Parla l'esperto, Mauro Messerotti dell'INAF - Osservatorio Astronomico di Trieste

di Matteo De Giuli 03/12/2013 17:36

Riproduzione artistica delle fasce di Van Allen. CREDIT: NASA/Van Allen Probes/Goddard Space Flight Center

Era il 1958, l’alba dell’esplorazione umana dello spazio, quando il satellite Explorer 1 registrò le prime prove dell’esistenza delle fasce di Van Allen, le enormi ciambelle di particelle cariche che circondano la Terra, trattenute attorno al nostro pianeta dal campo magnetico terrestre.

A più cinquant’anni da allora le conosciamo molto meglio, ma molti aspetti della natura delle fasce rimangono ancora oggi poco chiari. Talmente poco chiari che, secondo un nuovo studio, all’interno del plasma delle fasce ci sono delle strutture – di cui fino a ieri non sospettavamo l’esistenza – alla base di processi che in effetti non ci sappiamo ancora spiegare.

Partiamo dalle cose note: le fasce di Van Allen sono due, anche se è da poco stata osservata una terza fascia a struttura variabile. La prima ciambella, quella più interna, è costituita da un plasma stabile di elettroni e ioni positivi ad alta energia. La seconda ciambella contiene invece elettroni accelerati a velocità relativistiche, velocità cioè vicine a quella della luce. L’esistenza di queste particelle nelle fasce di Van Allen è nota da tempo, ma l’origine della loro accelerazione è ancora dibattuta. Fino a qualche mese fa si credeva che gli elettroni relativistici potessero provenire da una popolazione di particelle ad alta energia esterna alle fasce. Analizzando però i dati delle sonde gemelle Van Allen Radiation Belt Storm Probes della NASA, uno studio pubblicato lo scorso luglio su Science ha mostrato che ad accelerare gli elettroni è un meccanismo interno alle fasce: gli elettroni diventerebbero quindi relativistici “in loco”. Scoperto questo, il mistero è diventato capire quale sia questo meccanismo di accelerazione interna.

Ora una nuova ricerca, diretta da Forrest Mozer, fisico dell’Università di Berkeley, tenta di dare una prima ipotesi del processo fisico alla base dell’accelerazione degli elettroni relativistici. Mozer e colleghi, studiando anche in questo caso i dati raccolti dalle sonde di Van Allen della NASA, sostengono di aver rintracciato la presenza di alcune particolari strutture “a doppio strato” che compaiono e scompaiono nel plasma all’interno della seconda fascia.

Ciascuna di queste strutture è costituita da una coppia di strati paralleli di plasma con carica opposta posizionata lungo le linee di campo magnetico. Secondo il nuovo studio le sonde di Van Allen avrebbero registrato l’apparizione di circa 7000 “doppi strati” nel plasma in un solo minuto, ogni coppia della durata di qualche secondo. Doppi strati di questo tipo possono generare forti campi elettrici e, secondo Mozer e colleghi, la combinazione dei campi elettrici creati da un numero così alto di doppi strati sarebbe abbastanza potente da accelerare gli elettroni a velocità relativistiche.

Una serie di dettagliate considerazioni sul processo di accelerazione di elettroni ad altissime energie da parte delle strutture di plasma denominate double layer (strati doppi) nelle fasce di radiazione di Van Allen della Terra viene fornita dal prof. Gaetano Zimbardo (Dip. di Fisica, Univ. della Calabria) su APS Physics (http://physics.aps.org/articles/v6/131). “Zimbardo – ci dice Mauro Messerotti, fisico solare ed esperto di meteorologia e climatologia spaziale dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Trieste – commenta infatti il ruolo degli strati doppi formati da flussi separati di particelle con carica elettrica opposta, riscontrati in numero elevatissimo nelle fasce di Van Allen come pubblicato nel recente articolo di Mozer e collaboratori su Physical Review Letters”.

“Gli strati doppi – continua Messerotti – hanno origine da instabilità del plasma e si muovono lungo le linee di forza del campo magnetico, moto che preserva la loro struttura bipolare caratterizzata nel suo complesso da differenze di potenziale (campi elettrici) dell’ordine di milioni di volt. Le osservazioni nelle fasce di Van Allen indicano una associazione tra la presenza di migliaia di strati doppi in movimento a formare una sorta di gradini di una scala con le relative variazioni di potenziale in grado di accelerare gli elettroni del plasma. Le osservazioni indicano inoltre un aumento della popolazione di elettroni con energie di 2,5 MeV in associazione con la presenza di strati doppi e che possono essere accelerati ad energie più elevate da parte di onde di plasma chiamate whistler”.
“Quindi gli intensi campi elettrici nella struttura degli strati doppi – aggiunge l’astrofisico dell’INAF – determinerebbero la prima fase di accelerazione per gli elettroni, che verrebbero quindi ulteriormente accelerati da altri processi di plasma fino ad energie molto elevate. Meccanismi di accelerazione basati su strati doppi erano già stati studiati a livello teorico e di simulazione per interpretare l’esistenza di popolazioni di particelle di alta energia in molteplici processi astrofisici, ma ora per la prima volta ne è stata confermata l’esistenza”.

“Nell’ambito della Fisica Solare – conclude – ciò rappresenta un importante contributo sperimentale a supporto (o in contrasto) con teorie già formulate per spiegare, ad esempio, l’accelerazione quasi simultanea, cioè a distanza di tempo dell’ordine di un secondo, di elettroni e protoni ad energie relativistiche nel corso di alcune tipologie di brillamenti solari, nonostante la grande differenza di massa (1843 volte maggiore quella dei protoni), come riscontrato in osservazioni delle emissioni X e gamma nella fase impulsiva. Nuovi modelli, quando confermati dalle osservazioni, costituiranno un importante tassello verso una maggiore comprensione del fenomeno dei brillamenti, origine primaria delle perturbazioni spaziali che caratterizzano lo space weather, ma per i quali non esistono ancora metodiche di previsione affidabili basate su modelli fisici”.

La ricerca è in fase di pubblicazione su Physical Review Letters. Le Radiation Belt Storm Probes non cercavano strutture di questo tipo e i doppi strati sono stati scoperti quasi per caso. Per saperne di più bisognerà quindi aspettare tra gli otto e i dieci mesi, quando le sonde torneranno a raccogliere dati nelle zone di queste prime rilevazioni.

Fonte: Media INAF | Scritto da Matteo De Giuli



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