di Beniamino Franceschini
da IL CAFFE’ GEOPOLITICO, 03 luglio 2012
In Nigeria l’emergenza terrorismo contro i cristiani è ormai un dato di fatto: in un Paese enorme e diviso tra un nord musulmano e un sud cristiano, Boko Haram e i gruppi connessi mirano ad acuire il conflitto interreligioso per abbattere lo Stato e favorire una vera e propria anarchia violenta, preliminare ai propri obiettivi, primo fra tutti l’imposizione della shari’a. A sostenere gli islamisti, però, sono anche personalità della classe dirigente locale, interessati alla destabilizzazione della Nigeria – in particolar modo a nord – per ottenere vantaggi personali ed etnici. Il rischio che una nuova Somalia sorga in una regione strategica africana, ricca di petrolio e geograficamente rilevante, è ormai concreto e sta passando sul sangue dei cristiani e sulla corruzione.
Un quadro generale – Dal 2011, la Nigeria è al centro delle attenzioni per gli attentati a cadenza settimanale che il gruppo islamista Boko Haram (e la galassia di formazioni che vi si richiamano) compie contro i cristiani: a Natale, a Pasqua e pressoché ogni domenica, autobombe esplodono di fronte a chiese e scuole, oppure uomini armati aprono indiscriminatamente il fuoco nei villaggi a prevalenza cristiana. Nel Paese, la violenza è presente sin dall’indipendenza dal Regno Unito nel 1960: con una superficie tre volte superiore a quella italiana e 160 milioni di abitanti divisi tra quasi duecentocinquanta etnie, l’elemento caratterizzante è la mancanza drammatica di una Nazione. Nel tentativo di favorire l’autodeterminazione locale, la Nigeria è ricorsa quasi parossisticamente ad accomodamenti federalisti, cosicché il suo ordinamento conta ormai, oltre al territorio della capitale, Abuja, trentasei Stati.
Le divisioni religiose – In questo contesto si innestano problematiche di primaria importanza. Una di esse è la lotta per l’emancipazione del delta del Niger, condotta dal celebre MEND e diretta contro sia il governo centrale, sia le installazioni petrolifere delle multinazionali straniere. Esiste poi una corruzione diffusa e logorante, ma l’emergenza per la quale adesso la Nigeria è seguita dall’opinione pubblica occidentale è la violenza interreligiosa. Prima di procedere con alcune note su questo fenomeno e sul rischio di somalizzazione del Paese, è necessario introdurre brevemente l’argomento. Dagli anni ’60, infatti, i temi correlati alla fede non possono essere oggetto di dati statistici, cosicché è complesso definire stime precise riguardo ai culti, soprattutto in un macrocosmo – quello africano – nel quale il sincretismo religioso e il rapido costituirsi di sette sono assai frequenti. Prendendo a riferimento vari censimenti realizzati dalle maggiori congregazioni, si potrebbe affermare che i cristiani oscillino tra il 45% e il 50%, mentre i musulmani siano il 40-50%, con le pratiche tradizionali e animistiche comprese tra il 6% e il 10%. Peculiare, però, è la geografia religiosa, poiché, per ragioni storiche, l’Islam è praticato soprattutto negli Stati settentrionali della Federazione, mentre il Cristianesimo si è affermato a sud, con conseguente caratterizzazione dei gruppi etnici. La diversificazione economica, quindi, ha reso più aspri i contrasti: se da un lato le regioni costiere e meridionali hanno goduto di un relativo sviluppo e dell’attrazione di capitali, dall’altro lato, al contrario, il nord è rimasto più arretrato, con tassi di povertà molto superiori alla media del Paese.
Boko Haram – Nell’ultimo decennio, nel nord, la violenza interreligiosa ha raggiunto livelli esasperati, con il gruppo islamista Boko Haram che minaccia costantemente la sicurezza dei cittadini. Questa formazione, il cui nome significa “l’educazione occidentale è peccato (o sacrilegio)”, fu fondata nel 2002 da Ustaz Mohammed Yussuf a Maiduguri con lo scopo di instaurare la shari’a in Nigeria. Dopo una breve tregua seguita alla morte del leader nel 2009, Boko Haram ha ripreso a colpire con maggiore forza, causando più di mille morti. L’incessante spinta terroristica, inoltre, conduce sempre più frequentemente ad azioni di ritorsione delle comunità cristiane contro i vicini musulmani. Boko Haram, tuttavia, nel breve periodo mira a indurre uno stato di anarchia violenta nel quale ogni parte possa perseguire il proprio interesse, col sostegno di esponenti politici locali: i cristiani sono un obiettivo immediato ed evidente. In un discorso che ha scatenato molte polemiche, il 1° maggio scorso, il già ministro della Difesa nigeriano Theophilus Y. Danjuma ha dichiarato: «La somalizzazione della Nigeria sta avvenendo proprio adesso. La casa sta bruciando, ma dove sono i nostri governatori del nord? Borno è uno Stato fallito, Jigawa è quasi al collasso, Kano è minacciato».
La strategia dei terroristi – Diviene sempre più chiaro, infatti, che le azioni di Boko Haram abbiano lo specifico progetto di incrementare l’intensità dello scontro interreligioso, affinché esso divenga uno stato perpetuo anche in assenza di sollecitazioni. Lo scopo è destabilizzare il nord e, di conseguenza, la Nigeria: in questo piano, i gruppi islamisti hanno il beneplacito di personalità centrali della vita della Federazione che giudicano con favore l’eventualità di un collasso dello Stato, dal quale potrebbero derivare mutamenti degli equilibri etnici e spartizione delle risorse. Tutto ciò in un Paese piagato dalla corruzione, dal malcostume politico e da zone oscure sul rispetto dei diritti umani, ma strategico per la posizione geografica, la fornitura di materie prime e la sicurezza dell’intera Africa subsahariana.
Beniamino Franceschini
(L’articolo può essere letto qui: “Una nuova Somalia?“)