+Una paginetta di Storia Risorgimentale..e.. oltre…1a puntata+

Creato il 06 marzo 2011 da Gianpaolotorres

Federico Faruffini (1833 – 1869) +Morte di Ernesto Cairoli nella battaglia di Varese.

 Cari lettori,ho trovato interessante questo articolo di cui vi faccio partecipi in due puntate per darvi modo di leggerlo tranquillamente.E’ stato scritto e pubblicato quando ancora non era certo se la data del 17 Marzo,anniversario del 150esimo dell’Unità d’Italia sarebbe stata festiva.

  Noi Italiani – 17 marzo: conosciamo il dolore di aver perduto l’Italia ed il costo di averla ritrovata

autore Bruno Di Porto  +13 febbraio 2011+

Non si sa ancora se il 17 marzo sarà festa nazionale o no. Lo si sarebbe dovuto stabilire con congruo anticipo, ma non entriamo nel groviglio dei motivi politici alla base del dilemma, cui si aggiunge la preoccupazione economica per il danno alla produzione.
Ci sono popolazioni di frontiera che recalcitrano. Ci sono doglianze nel Meridione e tendenze di secessione al Nord. Vi sono, di contro, diffuse istanze a ritrovare ciò che accomuna il paese, con opportune riflessioni al passo dei tempi. Non si dovrebbe obbligare a festeggiare e nemmeno impedirlo o boicottarlo. Se non si vuole perdere un giorno di attività, potrebbe bastare mezza giornata. Se le scuole non si chiudono, possono dedicare il giorno ad apprendere qualcosa degli eventi e dei problemi nei centocinquanta anni.
Anche tra noi ebrei ci saranno i più sensibili e i più distaccati sulla ricorrenza, ma nel complesso sentiamo che ci riguarda e già da qualche mese ne parliamo. Anche noi, da un po’ di generazioni, cominciando da prima dei 150 anni, abbiamo contribuito, e non poco, a fare l’Italia. Ci siamo stati nell’Italia fatta nazione, ci stiamo, con una storia peculiare e con la parentesi per eccellenza traumatica dell’esclusione, condita da un carico di denigrazione e arrivata un esito di martirio. Siamo stati reintegrati e abbiamo tante esperienze da raccontarci e raccontare, nell’ascolto e nella raccolta di tutte le afferenze nazionali, nonché dei nuovi arrivi, in quantità di etnie e culture.
Siamo antichi su questo suolo, con una presenza incessante, se si guarda al complesso della penisola e delle isole. Abbiamo integrato sulla pianta dell’ebraismo italiano più antico molte ebraiche provenienze, formandoci e formandole italianamente, nel circuito delle regioni, da ben prima dell’unità nazionale. Siamo la componente italiana, numericamente esigua ma ben attestata per qualità, dell’ Am Israel, caratterizzata internamente per regioni e città, con diverse composizioni tra l’ebraico e i dialetti, con locali cadenze nella pronuncia, ma ben esercitati nella lingua d’Italia a mano a mano che si formava. L’eloquenza dei sermoni, magister Leone da Modena, dava all’oratoria sacra il timbro di un genere letterario, e il Collegio rabbinico di Padova la alzò di contenuti civili. Pio IX, in una delle udienze alla rappresentanza della comunità, si complimentò con il segretario Scazzocchio per il tenore dell’eloquio, salvo a strapazzarlo per l’ardire nel voler salvare il ragazzo Edgardo Mortara. Portiamo nei cognomi le dimore capillari, finanche di minuti pittoreschi paesi, dove si rintraccia, per dirla con Michele Luzzati, la casa dell’ebreo . Le giudecche, gli archivi, le monografie locali, parlano di noi dove non ci stiamo più.
La fedeltà del nostro resto di Israele, nella terra di Tito Flavio Vespasiano e dei cattolici pontefici, è costata restrizioni, confinamenti, umiliazioni, avvilenti riduzioni di mezzi per campare, roghi di libri e di persone, ma appena si dessero spiragli di umana tolleranza il lavoro si ingegnò per dar maggiori frutti e sociale utilità, compresa quella malfamata del prestito, iniziatore della banca ed emulato dai cristiani, sicché a Londra i lombardi condividevano, con i giudei del continente, cattiva nomea, guadagni, clienti in cerca di loro. Esclusi dal possesso della terra, i nostri mercanti, non appena possibile, vi andarono, da intermediari, da fornitori, da esercenti di filande, finalmente da proprietari, e quando si parlò di giustizia sociale Alberto Cantoni scrisse il romanzo L’Illustrissimo per esortare i proprietari a capire i mezzadri e i villici, mentre Achille Loria, laico materialista nipote di rabbino, sostenne che ogni uomo ha diritto nascendo ad una quota del planetario patrimonio terra.
Appena le corti principesche e le società circostanti si aprirono ad accogliere talenti di questa minoranza, i talenti emersero, più svariati, accennando la differenziazione occupazionale, che poi, con straordinaria mobilità, si è compiuta dopo l’emancipazione. Quando la cultura illuministica avvertì, con accenti magari non simpatici, gli effetti negativi dell’avvilimento e la convenienza di migliorarci, l’Haskalah, illuminismo ebraico, le rispose dalla nostra sponda, mostrando già il miglioramento in atto, in endogena risposta all’asburgico editto di tolleranza. Alla diffidente compassione del conte Giovanni Battista Gherardo d’Arco, che riteneva opportuno sollevarci e cambiarci da un complesso di limitazioni e di pericolosi difetti, Benedetto Frizzi mostrava che già ci si sollevava con nostra e con altrui utilità (si vedano gli atti del convegno Benedetto Frizzi. Un illuminista ebreo nell’età dell’emancipazione e Il prezzo dell’eguaglianza di Gadi Luzzatto Voghera). Bella lezione di una cultura di gruppo che, evitando il vittimismo, miri al positivo.
Poco dopo, la rivoluzione francese, tra tante impetuose novità, diede all’Europa il segnale dell’emancipazione ebraica, destando fermenti di ebrei nei club, nelle logge, poi nomine e presenze nelle guardie civiche, nelle armi, nelle piazze, nei municipi delle repubbliche. Se ne pagò lo scotto alle crudeltà del sanfedismo, ma si riacquistò l’emancipazione nell’età napoleonica, che solennizzò, tra imbarazzanti quesiti imperiali, il Sinedrio, con larghi resoconti nel “Giornale Italiano” di Vincenzo Cuoco. La Restaurazione rimise in vigore ghetti e restrizioni, tuttavia con differenza di leggi e trattamenti da stato a stato. Cominciò l’attesa di nuove scosse o di nuove graduali modifiche, nel riadattamento all’emarginazione, ma con la sensazione che i brevi trascorsi di fine ‘700 e di inizio ‘800 non fossero stati vani. Singoli ebrei osarono nelle società segrete e, scoperti, furono puniti. Qualcuno perfino morì. Le istituzioni comunitarie furono necessariamente prudenti e si attennero all’atteggiamento di dovuta lealtà, cercando e valorizzando ogni alleviamento o concessione. Nelle comunità maturava frattanto l’impegno all’educazione, all’istruzione professionale, all’assistenza dei poveri. Intellettuali ebrei si intendevano con singoli e ambienti culturali di tendenza liberale. Spiragli di simpatica attenzione, tra le maglie della censura, si aprivano in periodici, come la “Antologia” del Vieusseux e la milanese “Rivista Europea” di Carlo Tenca, che ebbe collaboratori ebrei e segnalò l’apparizione del primo nostro periodico, la “Rivista Israelitica” di Cesare Rovighi, pubblicata a Parma dal 1845 al 1848.
Da un caso legale in Svizzera, nel 1835, di impedimento ad acquisto fondiario di cittadini ebrei francesi, si levarono contemporaneamente le voci di Mazzini e, più sistematica, di Cattaneo a favore dei diritti civili per gli ebrei. I giudizi stereotipi sugli ebrei duravano, e più tardi si aggravarono di nuovi motivi, ma, nella varietà delle opinioni, tesero a modificarsi con l’amalgama del Risorgimento. La pubblicistica, gli epistolari e la memorialistica mostrano, in chiaroscuro, fra i tanti incontri di identità italiane, quelli degli ebrei e con gli ebrei, in una gran galleria di toni e sfaccettature. Vi è materia per una antologia. Angelo Brofferio ironizzò su un fortuito passaggio, tra gli affaccendati e gretti abitatori, nella contrada del ghetto, ma promosse la collaborazione di ebrei ai suoi giornali, con influenza del livello sociale e culturale. Alessandro D’Ancona ha narrato l’iniziazione di fanciullo al Risorgimento, quando entrarono in casa, a Pisa, tre patrioti, che avevano dovuto lasciare il luogo nativo nello Stato Pontificio, rivolgendosi alla sua famiglia, che da lì era venuta in cerca di tolleranza religiosa. Uno degli ospiti era Luigi Carlo Farini, che poi soggiornò nella villa fiorentina di un suo zio e lo istruì in politica, convertendolo ad un moderato liberalismo da mazziniano e guerrazziano che era stato per spontaneo impulso. D’Ancona frequentò Farini a Torino e da lui fu presentato al Cavour.
Mazzini da Londra parlava anche di ebrei nelle lettere alla madre, che temette lo avvelenassero, quando andò a pranzo dai Levi Nathan, ad esordio di quell’amichevole stretto supporto, che durò fino agli ultimi suoi giorni nella casa di Pisa. Condivise con lui l’ esilio Angelo Usiglio, esule da Modena dopo il moto del ’31. A Londra gli fecero visita Giuseppe Finzi e Tullo Massarani. Ebrei militarono nella Giovine Italia e nel Partito d’Azione. E’ stato un filone ebraico entro il mazzinianesimo italiano ed europeo, con adesioni politiche fedelmente durevoli e con altre temporanee, per evoluzioni poi generalmente avvenute , ma con un lascito morale ed etico-politico, di rilievo per le interpretazioni di Mazzini, nel senso della democrazia, dell’aspetto religioso, dell’aspetto sociale, del nesso di patria e giustizia, di italianità, europeismo, umanità. Una figura caratteristica di nutrimento mazziniano, nella passione risorgimentale di un’anima ebraica, fedele ed aperta, fu Davide Levi. I suoi libri testimoniano le tappe del Risorgimento e il pathos, con cui ha descritto la prova musicale dell’inno nazionale, vale di essere ricordato nell’evento celebrativo del 17 marzo, con o senza la chiusura di uffici, stabilimenti e scuole.
Epico, volontaristico, battagliero fu il concorso giovanile di ebrei nelle file di Garibaldi, dalla difesa della Repubblica Romana, con triumviro Mazzini, lungo tutte le imprese garibaldine in Italia ed altrove, con tributo di ferite e caduti. E’ nelle file garibaldine, con lo sbarco in Sicilia e la risalita fino al Volturno, che una pattuglia significativa dell’Ebraismo italiano ritrovò il contatto con il Meridione: una nota figura è Enrico Guastalla. Al nome di Garibaldi ebrei accorsero dall’estero, fino a Marcou Baruch, l’iniziatore del sionismo sefardita, animatore dei primi sionisti italiani, tra cui Dante Lattes. Il filone garibaldino fu altresì di mediazione politica, in propulsiva e spesso frontale concorrenza, tra la democrazia di ispirazione repubblicana e il governo subalpino. Un ruolo di organizzatore e amministratore, nel comitato per il milione di fucili fu svolto da Giuseppe Finzi, personaggio di spessore politico, con politico spostamento, deputato dal 1861 al 1886.

Fine prima puntata+

http://moked.it/    13 febb.2011.



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