Poiché amo le panchine, poiché amo perdere, anzi, guadagnare il mio tempo sulle panchine, magari guardando la gente che passa, magari nascondendomi dietro la copertina di un libro (mi piace anche far prendere aria ai miei libri) a lungo mi sono fatto accompagnare da Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne di Beppe Sebaste (Laterza).
Sono pagine in cui ho trovato uno straordinario catalogo delle panchine usate e amate - chissà se un giorno anch'io non tenti qualcosa del genere. E anche una serie di definizione di panchina che mi piace riportarne tre o quattro.
Una panchina perfetta è come una 'piega' del mondo, non un luohgo nascosto ma una zona franca, liberato o salvata, dove semplicemente sedersi è già in sé una meditazione.
A definire le panchine, tuttavia, non è solo il sedersi, ma un certo tipo di sedersi, un certo uso, non solo e non tanto del proprio corpo quanto del proprio tempo, e della propria mente. Lasciare libera la mente di vagare, divagare. Passeggiare da fermi.
La panchina è un luogo di sosta, un'utopia realizzata.
Ovunque si trovi, la panchina è per chi si siede il centro dell'universo.
Mica male: la panchina come utopia realizzata. Come centro dell'universo. Tutto è relativo, il tempo e lo spazio. Seduti su una panchina.