“Una penna non comune”.

Da Suddegenere

Una targa dalla Presidente CPO del comune di Catanzaro ad una donna, per il suo impegno nell’esprimere la forza e la sensibilità delle donne. Un meritato riconoscimento ad Anna Pascuzzo, che abbraccio forte. Qui di seguito un estratto del testo, da lei scritto ed interpretato, Uniti da un secolo e mezzo :

“” Esiste un altro modo per celebrare i 150 anni dell’unità, è il modo delle donne !

Poiché appare difficile negare l’evidenza storica di ciò che si è prodotto centocinquant’anni addietro, l’unificazione politica del Paese non può che essere colta come una sfida storica, politico e culturale che non ammette ripensamenti tardivi. Né a Nord né a Sud ! Quel che mi accingo a fare è un esperimento, che poggia le sue basi interamente su una lettura suggestiva, volta all’incontro delle parole di donne e uomini vissuti e riscoperte nel secolo passato, che hanno fatto la storia della letteratura e influenzato con la loro attività di “intellettuale militante” l’identità nazionale e l’unità del Paese.

In questa prova c’è però di più del semplice sperimentare, c’è la volontà precisa di portare in scena voci mai sentite, quelle delle donne alle quali quasi mai la letteratura conferisce dignità. Si parla dei poeti uomini minori, si trova per loro anche uno spazio marginale, ma lo si riesce a ritagliare, mentre da questa parte, dalla parte dell’altra metà del cielo vengono trascurate, se non mortificate con l’assenza, figure di donna che attraverso il loro dire e la loro acuta penna hanno fatto l’Italia. Vi narrerò dunque racconti di donne, di vita e di impegno civile, di incontri immaginati e altri realizzati…

C’è chiaramente una differenza sostanziale fra il linguaggio maschile e quello femminile, il perché un po’ lo immaginiamo:

Elaborata sin dall’antichità con tematiche e moduli espressivi propri, talvolta anche emulando i modelli maschili (sicché Sibilla Aleramo lamentava che i manoscritti femminili che riceveva ricalcassero troppo quelli dei colleghi), la letteratura delle donne è stata sempre considerata minore solo perché non copiosa e divulgata come quella degli uomini.
Effettivamente il numero delle scrittrici è stato inferiore a quello degli scrittori, ma soltanto perché alle donne sono stati impediti la piena espressione e l’accesso alla cultura, essendo relegate alla vita tra le pareti domestiche; già nel quattordicesimo secolo Christine de Pizan ne aveva rilevato l’esclusione dal sapere e criticato chi ne impediva l’istruzione: …che se ci fosse l’uso di mandare le bambine a scuola e di insegnare loro le scienze, imparerebbero altrettanto bene…
La tradizione letteraria maschile si è imposta, dunque, solo per la mancanza di una corrispondente tradizione letteraria femminile, determinata dal divieto ad accedere alle fonti del sapere.

Ma è indubbio che, nel corso dei secoli, le donne sono riuscite ad elaborare pagine nelle quali dar voce al proprio modo specifico di sentire e vivere la realtà e l’interiorità.

Nonostante l’esclusione, voci autorevoli si sono, dunque, affermate con energia nei secoli, trasformandosi da “oggetti” letterari a soggetti, da muse ispiratrici ad autrici, riuscendo a liberare compiutamente la loro sensibilità.
Ma di cosa hanno scritto le donne? D’interiorità in generale, di solitudine, d’infelicità, di affetti familiari, di vita domestica, di aspirazione allo studio e all’espressione letteraria ed artistica, delle difficoltà di conciliare l’essere per gli altri e l’essere per sé, spesso d’amore (declinato in infinite sfumature e varietà, dal desiderio all’incontro, dall’attesa all’inganno, dalla gelosia alla delusione, e poi il turbamento, l’assenza, la passione, il tradimento, ma hanno anche impugnato la penna come spada, per reclamare o denunciare diritti ignorati o calpestati.

Su alcune maggiormente mi sono soffermata, per evidente importanza e per particolare interesse personale, di tutte, comunque, ho cercato di offrire informazioni essenziali (rimandando, naturalmente, ad ulteriori approfondimenti), ma ad ogni loro vicenda mi sono appassionata, perché dietro ogni verso, ogni rigo, ogni singola parola, ho trovato celati un dolore, una lacrima, una sofferenza, un’insofferenza, una protesta, un’inquietudine, una disperazione, un grido di solitudine, un canto d’amore.
L’eco delle loro voci arriva dal passato con immutato fascino.

Un grande simbolo della forza femminile, un personaggio emblematico, di vastissima cultura, un’eroina della Rivoluzione Partenopea del 1799 è Eleonora Pimentel Fonseca, pensate, accettò il patibolo in nome della libertà.

Donna di straordinario ingegno e vastissima cultura, di eccezionale precocità intellettuale.

Gli ideali della rivoluzione Francese infiammano lo spirito di Eleonora che si getta nell’impegno politico per l’affermazione della libertà e per il progresso delle classi meno fortunate, tanto da introdurre nascostamente, durante un ricevimento a Corte, alcune copie in italiano del testo della Costituzione approvata dall’Assemblea francese.

M è a partire dagli anni ’30 che si assiste in Italia ad un incremento della produzione letteraria femminile, ma le scrittrici che s’impongono sulla scena del Novecento, pur partecipando autorevolmente al dibattito intellettuale contemporaneo sul conquistato senso d’identità, propongono tematiche e forme espressive ben diverse da quello degli scrittori, e non sono collocabili negli schemi del tempo poiché operano più sulla ricerca personale che sull’ideologia.
Tra queste scrittrici Paola Masino, autrice quasi dimenticata, ma importantissima, per taluni aspetti considerata antesignana di tanti temi femministi, impegnata in una continua ed inconsueta ricerca letteraria, eppure soffocata nello scrivere, costretta a ripiegare in un tracciato narrativo disperso tra collaborazioni a riviste, giornalismo, rubriche di posta con i lettori ed infiniti appunti annotati sui suoi quaderni.

< Scrivere vuol dire scrivere di sé, in modo più o meno dichiarato…scrivere per me è stato anche il tramite per entrare nelle vite degli altri >, così affermava Lalla Romano, importante scrittrice e pittrice piemontese del ‘900, schiva e riservata, lontana dai clamori del mondo intellettuale ufficiale eppure molto popolare.
Attenta al quotidiano, sempre relazionato all’universale, al “privato”, allo studio degli esseri umani e al tessuto dei loro rapporti ed affetti familiari e quotidiani in sensibilità squisitamente femminile, ma priva di sentimentalismo e vittimismo, ha attraversato per intero il Novecento, con le sue ombre e con le sue luci, con silenzi lunghissimi e con attività febbrile, come scrittrice di versi, racconti, saggi, recensioni, dedicandovisi, ormai praticamente cieca, fino alla morte, avvenuta a 95 anni, il 26 giugno del 2001, nella sua amata casa milanese di via Brera.

Il capolavoro di Lalla Romano è considerato “Una giovinezza inventata”, del 1979, ricostruzione in stile essenziale, esente da compiacimento sentimentale, della personale giovinezza dell’autrice vissuta negli anni Venti, divisa fra gli studi, l’esistenza borghese, l’amore e i disagi della condizione femminile del tempo. La ricostruzione dell’educazione culturale ed affettiva non avviene in chiave nostalgica di ricerca del tempo perduto e la memoria del passato non è caricata di aura poetica, bensì vissuta come presente e guardata dall’unico possibile punto di vista, quello senile.

è indispensabile fare un cenno ad un’altra donna che, come tante altre taciute dalla storia, ha fatto e scritto la Resistenza italiana: Si tratta di Renata Viganò, partigiana e scrittrice, nata a Bologna nel 1900 e vissuta fino al 1976. Nel 1949, dopo altri scritti, raggiunge la notorietà con il romanzo “L’Agnese va a morire” edito da Einaudi, ispirato alla Resistenza alla quale la stessa autrice aveva partecipato.”"


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