Uno di questi, non il più grande ma con una sua urgenza, era: Ma come si fa a comporre?
Infatti io a 17 anni andavo e non andavo al II anno del liceo classico, e studiavo e non studiavo per il V di clarinetto. Ma soprattutto prendevo delle zioni di Armonia, presto diventate lezioni di Composizione. Apprendevo le regole dei bassi di armonia, dello sviluppo di una melodia in 8 – 16 – 32 battute armonizzate, e altre cose più o meno meccaniche. Ma mi chiedevo: Come si fa a comporre?
Dovevo chiederlo soprattutto a Lessandro, il 30N che mi impartiva queste lezioni. Che fissa, un altro Alessandro ce l'aveva messa tutta per disamorarmi dallo studio del pianoforte, dalla III elementare. Riuscendoci anche parecchio bene.
Invece questo Alessandro mi dava lezioni nella sua stanza, su un pianoforte verticale. Quando cancellava i segni di matita con la gomma, gettava colla mano i pezzettini per terra. Il mio secondo pensiero era: Ma poi rimarranno lì, puliranno fra chissà quanto, e nel frattempo finiranno sotto i mobili, verranno calpestati, e fra qualche secolo il tuo pavimento sarà un intruglio di pezzettini di gomma microbi polvere e insetti che attenteranno alla tua salute.
Ma il primo restava: Come si fa a comporre?
Glielo chiesi una volta che abbiamo finito la lezione un po' prima. Allora mi ha detto “Vieni, ti faccio vedere una cosa”. Quindi ci alziamo e attraversiamo la camera, e camminando su quel pavimento ne sentivi ondeggiamenti abbastanza clamorosi. Abitava a via Ripetta nell'attico di un palazzo antico. Insomma; attraversiamo casa, andiamo in terrazzo e lui inizia a prire la porta di una casetta piccolissima, appoggiata in un punto di quel terrazzo.
Entriamo. È incredibile quante tastiere e macchine piene di cavi possano ricoprire le pareti di una casetta tanto piccolissima. C'era anche un computer, nel 1988. Un Atari 1040.
Ma questa è un altra storia, e di raccontartela desso non mi frega niente. Quindi basta con le tue domande im-pertinenti. Io elaboro e laboro. Keith Emerson trae da un iverso silenzioso le note del suo piano. Greg Lake ci poggia su la voce in cristalli. E mentre Trilogy è tutte le pareti che mi circondano, penso che anch'io voglio tirar fuori le note dai silenzi. Soprattutto dai miei.
Quindi emetto le prime parole, da vari minuti. “Ma tu; come fai, a comporre?”
La risposta di Alessandro non è una risposta. Sono sorrisi da dietro gli occhiali. “Non c'è un modo preciso”. Parole sparse. Anche se pare strano, non c'è un metodo. Provi, e poi forse ne trovi uno tuo. Non è che quella melodia in 8 – 16 – 32 battute diventa flessibile a piacere. Niente algoritmi in cui ti siedi e applichi regole per farti venire cose in mente, e svilupparle nel modo giusto.
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Voglio rivelarmeli, a me e a lui. Caricando un pezzo, e la cronaca della sua realizzazione.
Dicendo a entrambi come per esempio si poteva fare.