di Massarello – Inutile fare della facile ironia sulla sigla, c’ha già pensato Marchionne con la sua FCA. La Piattaforma Integrata Cartografica Agriviticola (PICA) è il “grande fratello” che Cavit mette a disposizione degli enologi e degli agronomi per una vitivinicoltura di precisione, grazie alla collaborazione delle sue 11 Cantine associate col supporto di FEM ed FBK. In soldoni significa che si saprà 100 volte di più su ogni singola vigna, dal fabbisogno idrico e nutrizionale all’ottimale momento di stacco delle uve, passando per una razionalizzazione dei trattamenti fitosanitari. E al momento del rinnovo dell’impianto, si saprà senza fallo il nome del miglior clone varietale e del portainnesto più adatto, ecc. ecc. Insomma, una cosa innovativa e importante sotto tanti punti di vista al punto da far balenare l’idea che – dopo il collaudo sul territorio nella prossima campagna 2014 – si valuti la possibilità di estenderne l’opportunità anche ai viticoltori non soci, ma che in definitiva giocano nella stessa squadra. Sarebbe un bell’esempio di cooperazione. Moderna e trasversale. Territoriale.
Questi pensieri vengono dopo aver letto dei soldi UE per i nuovi impianti di vigneto, o meglio, per la ristrutturazione e riconversione viticola fino al 2018 (qui). Gli obiettivi sono quelli di aumentare la competitività adeguando le varietà ai nuovi orientamenti dei consumi; di migliorare la qualità con forme di allevamento e varietà adatte ai vari siti riducendo i costi di produzione. La PAT potrà intervenire di suo per integrare con economie di altre misure. Fuor dal burocratese, significa che – facendo domanda entro febbraio – si potrà lucrare la metà del costo del rinnovo se si cambia forma di allevamento e/o varietà, ecc. ecc.
Varietà, appunto. Si parla sempre e solo di varietà in questo Trentino, mai della madonna, di Origine! Il pericolo, denunciato più volte al punto da rischiare la noia, è di continuare a mistificare con le varietà sottacendo il bisogno estremo di una politica di territorio che passa, appunto, attraverso l’origine. DOC, DOCG, DOP, IGT insomma, e non solo Pinot grigio! Certo, come detto mille volte, nulla contro la varietà dai grappoli d’oro, ma non solo quella. Per la cronaca, in Trentino sono 22 le varietà consigliate, altre 24 sono ammesse alla coltivazione ed altre 9 sono in osservazione, cui si aggiungono ben 58 sinonimi autorizzati, compresi molti pure in tedesco in esclusiva per la regione. Sul fronte delle denominazioni geografiche di provenienza, invece, le varietà sono tutelate da 5-6 DOC e da 3 IGT, per non dire dei 48 appellativi di “vigna” utilizzabili per specificare meglio i cru all’italiana.
Orbene, per evitare che il lettore passi subito ad ordinarsi una birra-e-sai-cosa-bevi, (ma non sai cosa ti perdi con un buon bicchiere di vino), sarebbe utile conoscere da chi di dovere dove si vuole andare a parare per il prossimo futuro. Mi sembrerebbe giusto per il produttore non meno che per il consumatore. La risposta è ancora e sempre attesa dal Consorzio Vini del Trentino che fin qui ha brillato per il suo silenzio ostinato quasi che la cosa non lo riguardasse. E sì che dopo l’incarico per i controlli erga omnes (ossia anche sui non associati) e la graduale riconfluenza nelle sue mani anche della promozione istituzionale, questa richiesta non può più essere sottaciuta. Sia perché è doveroso presentare un Piano all’Ente pubblico (noi cittadini-consumatori) per ottenere i necessari finanziamenti, sia perché è opportuno dirlo ai media per una efficace ed efficiente comunicazione.
Sotto la neve i vini si stanno illimpidendo e tra un po’ passeranno alla bottiglia. Se non se ne saprà nulla, perché mai dovremmo interessarcene?