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Una piccola luce nel buio avvolgente

Creato il 05 luglio 2014 da Thoth @thoth14

XXII

Un anno come un altro

un giorno qualunque,

un tempo infinito

che tuttavia è più effimero

della presenza umana

nell’immensità cosmica.

Da ALBERI SPOGLI di Francesca  Rita  Rombolà

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Questi versi per ricordare un artista che si è appena spento.

Giorgio Faletti muore ad appena sessantatre anni stroncato dal cancro.

Muore in un giorno caldo d’estate, dopo aver consumato interamente la sua battaglia contro un male inesorabile che ha ancora pur sempre partita vinta sull’uomo e sulla sua fragilità di uomo, appunto.

Artista eclettico e piuttosto sfaccettato, Giorgio Faletti non ha fatto solo televisione, non è stato solo un cantante; è stato pittore, scrittore e forse molto altro ancora. Perché forse la sua concezione dell’Arte e soprattutto dell’artista non è mai proceduta a senso unico, e il suo percorso intellettuale e umano ha voluto fermarsi, esplorare e poi ripartire di nuovo, addentrandosi in un campo, anche sconosciuto, e non soltanto per camminarvi e basta ma anche per cercare di dissodarlo e di ararlo per poterne raccogliere i frutti.

Di certo, egli non è mai stato l’artista o l’intellettuale rinchiuso in una torre d’avorio al riparo dal mondo, dalla vita e dalla sua quotidianità non sempre facile. Il suo modello dovrebbe insegnare e farci riflettere in un’Italia carente di valori e di artisticità, ripiegata su se stessa e poco incline alla figura poliedrica di chi guarda all’essere e alla realtà che ci circonda con uno sguardo che spazia a trecentosessanta gradi.

Scrittore di libri gialli, di noir, di polizieschi forse decisamente “controcorrente”, forse un po’ marcati nei personaggi, nella trama e nello stile di scrittura, forse dal gusto nuovo e dall’impatto immediato eppure duraturo, come i testi delle sue canzoni che hanno fatto parlare dell’uomo e dell’artista, in bene e in male; hanno creato consensi e rifiuti; hanno infuso una carica rivoluzionaria al lettore, all’ascoltatore, all’ambiente sociale in sè.

Credo che non sia spropositato, per Giorgio Faletti, e che calzi a pennello l’antica massima dell’autore latino Terenzio: “Sono uomo. Nulla di ciò che è umano mi è estraneo”, poiché l’artista sa quali sono i suoi limiti umani, ma sa pure quali sono le sue capacità di moto e di influenza all’interno dello scibile umano e quando deve osare e agire e trasformare in tutto e il tutto e quando deve fermarsi ad ascoltare il silenzio e nel silenzio della propria anima. Per chi crea o cerca di conoscere e di capire, misurarsi con l’idea metafisica del tempo è fondamentale. Si scopre allora l’effimero di ogni cosa e in ogni cosa, il senso della morte che sconvolge e annienta, ciò nonostante lasciando sempre intravedere appena o immaginare soltanto una piccola luce nel buio avvolgente.

Francesca  Rita  Rombolà


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