Tra le cose che amo, che seguo, che mi appassionano, che mi fanno stare bene, c’è la poesia. Nulla come la lettura placa le mie tensioni, mi annulla dal vivere e rinvigorisce i pensieri.
Leggere è la vera vittoria sull’idiozia che spesso anima l’intera umanità e leggere poesia il corollario ideale alla serenità.
Ma c’è ancora qualcuno che legge la poesia, visto che a scriverne sono, forse, in troppi ma i libri acquistati sono pochissimi?
Ieri mi sono imbattuta in questo articolo “Un popolo di poeti, ma chi li legge oggi” di Luca Vaglio, nel blog Gli Stati Generali (qui il link diretto) dove si constata che a fronte di una proliferazione di poeti o cosiddetti tali, non corrisponde una eguale lettura, dedotta dalla mancata o quasi vendita dei loro libri. Di pochissimi di loro poi, se ne ha memoria.
Estrapolo una parte dell’articolo, quella in cui si cita “Sulla poesia moderna” (Il Mulino, 2005) Guido Mazzoni:
«La poesia è il più soggettivo ed egocentrico dei generi letterari, quello che, nella sua forma più comune, parla di contenuti personali in uno stile che vuole essere personale, cioè lontano dal modo ordinario di dire le cose. Contiene un elemento narcisistico che, in una società monadica, gremita e divisa in nicchie, finisce per disturbare il narcisismo altrui, perché ignora i luoghi comuni grazie ai quali gli esseri umani comunicano, magari sostituendoli con altri luoghi comuni, più settoriali. Non a caso il poeta è il primo artista a perdere il mandato sociale».
La poesia è quindi solo un atto narcisistico del poeta? Non ha quindi raffronti con il lettore, non si pone a servizio dell’altro? Il poeta giace solo nella sua torre dorata, incompreso e per questo felice? Più è incompreso e più si sente riconosciuto nel suo ruolo?
Ma se la poesia non si legge, se i libri non si comperano, allora a cosa ma soprattutto a chi servono i concorsi di poesia? Non so di preciso quanti concorsi di poesia ci siano all’anno in italia, ho letto stime di 1800, un amico mi ha detto addirittura 3000. Considerato che la maggior parte di essi è a pagamento, possiamo capire il giro di soldi che ne deriva, mai nelle tasche dei poveri poeti che tentano di sbarcare il lunario, ma solo di chi li organizza. E chi non fa pagare l’iscrizione, chiede poi di acquistare o l’antologia o il libro stesso ( ho letto notizie interessanti e purtroppo decadenti in merito, nell’articolo “Poesia italiana oggi, una diagnosi” di Benny Nonansky sul sito Storie.it – qui il link diretto). Parliamo quindi di fama, fortuna, di vero spirito poetico o mera spinta commerciale, specchio per le allodole di una società basata sull’ego?
Nel mio piccolo ho amici poeti che partecipano a concorsi di poesia, qualcuno vince, altri no e restano delusi, altri si demoralizzano o si incazzano, dipende dalla qualità del vincitore, altri ancora capiscono essere solo una macchina illusoria ed imperfetta, ma vi partecipano comunque. Non tutti i concorsi, ovvio, mai generalizzare, ma parecchi, questo sì.
A me, personalmente, la poesia messa di un piedistallo non piace, con la medaglia al collo, intendo, anche se ai miei tempi, ho partecipato anch’io a concorsi poetici e narrativi. Non piace perché sono un’intimista: la poesia la leggo di nascosto, negli angoli bui del mio tempo, nel silenzio. E’ un’esistenza breve di poche righe che si dilata nel tempo e più si dilata e più mi appartiene e più mi appartiene e più la sento dentro di me.
La poesia è lo scorrere delle parole, l’esistenza che accade, il senso, la metrica, la ragione, il cuore, la perfezione e l’imperfezione. La poesia è un tavolo sghembo, un foglio bianco accartocciato, la corona di una regina, il nastro di raso, la trasparenza del cielo.
E quando leggo la poesia, mi sento me stessa e al contempo diversa e sto bene.
Una poesia al giorno e il tempo del mio esistere rinasce a vita nuova e diversa ( qui il link del progetto Treccani, “Una poesia al giorno” )
Chiara