Una poesia di Crescenzio Cane

Da Nicolaief

NEL CAMPOSANTO
A mio padre

Non è vero che non avrai quiete
qui preso dall’ultima trappola
il riposo inappagato arroga solo
i fiori che di tanto in tanto
una mano callosa ti ricorda giovane.

Dov’è l’aria del giorno di festa
al porto di Napoli quando la fanfara
echeggiava dal ponte principale
tra tanta confusione pensavi subito
i tuoi nove figli oppressi dal regime.

Ancora non è mutato l’ultimo volto
che t’ha sostenuto alla caduta
credo poco di quanto mi è rimasto
da una cultura ridotta e combattuta:
la mia vita è ancora sotto schiavitù.

Dietro la nuova casa ora c’è l’orto
e il grano alto quanto un ragazzo
porta a pensare il mare sotto il sole
qui la nostra gente piegata in due
vi lavora sudando fame e disgrazie.

Cosa può fare un giovane proletario
cresciuto al margine del marciapiede
dove la lupara non certo anonima
ha fatto sempre la parte del leone?
Certamente il voto politico non basta.

Cosa sono le arance o i grossi limoni
lo zolfo o i calori del carretto
quando manca il lavoro e le scuole:
qui siamo nelle mani di quattro ladri
che hanno sempre optato per i potenti.

In questo luogo di vermi e di paure
il tempo scorre lento e taciturno
Pa tu oggi lo sai meglio di me
qui poi diventano tutti galantuomini
i fessi siamo noi che l’abbiamo bevuta.

Crescenzio Cane
palermo 1959


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