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…una poesia senza parole.il gioco…

Creato il 16 settembre 2011 da Cultura Salentina

di Lele Mastroleo

…una poesia senza parole.il gioco…

E. Rouarge, Costumi di Puglia (Terra d'Otranto), incisione al bulino,1835

…come erano arse le tue mani mentre accarezzavi la luce nella sua bocca, e quella fronte di piccole rughe che ricamavano silenti il tuo nome tra i suoi pensieri? Sulla linea del bagnasciuga accarezzasti quelle gote di mora selvaggia e di spinosi cardi e ti rimase nel cuore il marchio della passione e quella donna dalla faccia bruna e dai capelli di cuoio e rame che ti premette lo stiletto dritto nel petto e nelle viscere. E dal tuo corpo non uscì sangue quella notte, nemmeno una goccia di vita o un solo accenno di respiro.  Solo i tuoi occhi divisero con lei quei momenti. Capitano, tu non c’eri. E  non ci saresti mai più stato. La passione che vivesti quella notte si ripresentò ogni volta che tendevi le dita per sentire il cuore batterle dentro al seno. Quel seno florido e generoso, che lei figlia della morte e della vita sapeva razionarti e che a te serviva per ritornare a sentire pulsare il sangue:

Foglia di tabacco e di malvarosa
che bruci nella febbre delle mie ossa,
ferma un solo sguardo nei miei.
fermalo come onda sullo scoglio,
strappalo dai miei pensieri
e fanne gioco nelle tue mani,
fallo schiavo della mia bocca.

Quante volte l’hai ripetute quelle frasi prima di tenerle a memoria? Quante volte hai provato a snocciolarle per intero quella notte, ma ti rimanevano in gola, sulla lingua che non riconosceva più la strada e le bestemmie si annodavano tutte in gola insieme a quelle tue parole.

- “Vorrei fare l’amore”,   le dicesti e non riuscisti a dire altro.

- “Dovrei tornare, Capitano,  mio Capitano” – rispose alla tua richiesta Munira -  “la luce della luna questa notte non aspetta più le ragioni del vostro e del mio cuore” – aggiunse la ragazza con quell’accento stravagante da forestiera, “non posso chiedere altro alla sua bellezza questa sera. La tua compagnia è la mia stessa gioia, i tuoi sorrisi sono i miei stessi piaceri. Fai una buona notte Capitano. Domani avrai un mio sorriso sul cuscino se vorrai iniziare con me la giornata, altrimenti lava subito il viso e nascondi i tuoi occhi splendidi per non ferire il mio desiderio”.

Iniziasti la giornata con dentro tutto l’inferno che brucia in quell’indomani di terra lontana e di sapori diversi.

Pranzasti in fretta per scendere presto nel giardino dei cedri e del pompelmo per incontrarla ancora e sentire il suo corpo e le sue labbra sulle tue,ma non incrociasti nessuno quel mattino, nemmeno un servo, nemmeno un’ancella a cui chiedere. Corresti impaziente nel salone delle feste per capire, per comprendere quel tremendo silenzio che si era impossessato di quella casa e di quel giardino. Trovasti solo il segretario dell’ambasciatore che ti avvertiva che lui e la sua figlia Munira avevano dovuto lasciarti molto presto all’alba per dei motivi personali che non stetti neanche a sentire per quell’improvvisa rabbia che rapì ogni tuo gesto.

Rimanesti fermo in quella posizione non sai neanche tu per quanto tempo,  Capitano, con nell’animo solo una certezza: sapevi che si chamava Munira ed era figlia dell’ambasciatore, e questo ti sarebbe bastato. Per adesso…

…fermò la rincorsa sulla punta dei piedi, fece un salto in avanti e si mise di faccia a quell’uomo stupendo, di fronte a quei muscoli pieni e vivi, a quella esplosione di nervi e sangue del suo Capitano. Il muro a secco che divideva il giardino era alto abbastanza per nascondersi alla vista di tutti ed i rami dell’albero di fico selvatico che ornavano quel monumento al fare creavano assieme alle capienti foglie un arco d’ombra meraviglioso e romantico, ed il Capitano che aveva recitato l’ultima poesia conosciuta ne approfittò subito di quella vicinanza dei corpi e con una spinta delle mani dietro alla schiena di Munira avvicinò a sè la ragazza e la baciò violentamente. La forza che dovette usare sul primo momento lentamente andava scemando sino a farsi carezza dolce ed un tenero abbraccio.

Munira reclinando leggermente la testa rispondeva con passione alle movenze ritmate delle labbra del Capitano e sentiva la febbre del cedimento prendere con un fremito le sue gambe ed impossessarsi pian piano di ogni più piccola parte del suo corpo e di ogni singola goccia di sangue. Sentiva la testa intontire di domande la sua voglia e la sua stessa voglia pervaderle il seno sino alle spalle, in un unico lento ed inesorabile brivido che si faceva sempre più forte e meraviglioso.

Il Capitano cercava con le sole mani di racchiudere tutto il corpo di Munira.Accarezzava il viso di lei,appoggiando il palmo sulle sue guance per poi passare lentamente sui capelli e sul collo dove alternava la mano e le labbra. Ad un istante spostò le spalline del vestito bianco di cotone di lei e prese con ardore a baciare con la punta del labbro la parte del collo più sensibile della ragazza sino ad arrivare a sentire la pelle delle braccia rabbrividire sotto la sua bocca.Lei cercava con una resistenza sempre più fiacca e inconsistente di allontanare il corpo del suo Capitano,ma tutti i suoi sensi oramai erano presi da quel gioco antico,da quella danza delle dita e delle labbra che sazietà non farà mai da sinonimo.

Il Capitano con sapiente maestria slegò i laccetti che impedivano al seno di Munira di essere ammirato. L’uomo deglutì la sua immensa gioia alla vista di quel generoso regalo di Iddio, e felice ne riempì la bocca e le mani tenendo la lingua sempre sui capezzoli per condividere con la ragazza tutto il suo entusiasmo e la sua passione. Costrinse con estrema delicatezza la donna a girare la schiena e mettendosi ad un palmo da lei si piegò sul collo e prese a baciarla con più forza di prima, passando con leggerezza le labbra sulla schiena  e più giù sino a saggiare la seta della parte inferiore del vestito che le copriva i glutei e poi le gambe. Tornò in un attimo di fronte a Munira ed armeggiando con la mano che non le accarezzava la guancia staccò il cordoncino della veste e lasciò completamente nuda la sua amata.

Fece scivolare, quasi come dovesse chiederne il permesso, il palmo della mano sul fondoschiena della giovane e la trasse a sè con forza riprendendo a baciarla con violenta passione.

L’albero di fico muto complice cacciò, dai suoi enormi rami e con la connivenza del  sole, sull’erba del giardino di casa Luceri una coperta d’ombra perfetta e tornò contento ai suoi giochi lirici con il vento. Il giovane Capitano capì subito che tutto il mondo in quel momento era spettatore non pagante di quella rappresentazione magnifica che era il suo amore per Munira e prendendo un po’ di sano coraggio posò il corpo della ragazza sull’erba e prese ad amarla come se fosse stato per l’ultima volta e come se fosse stato per la prima volta.

Le dita delle mani di lei erano oramai pietrificate e le gambe erano in preda ad un’estasi appagante e lo stomaco esplodeva in sensazioni deliranti di abbandono assoluto. Munira sentiva il sangue delle sue vene fuoriuscire da tutti i pori della pelle ed il cuore spaccare la gola per fuggirne via ed il freddo del trifoglio sulla schiena nuda e pensava al suo Capitano come se lui non fosse lì con lei. Come se il suo uomo non stesse rendendola complice della sua felicità di quel momento e chissà di tutta una vita. Come se lui non fosse sopra di lei in quei momenti e stesse cercando si renderla felice anche se solo per un solo istante. Mentre pensava al viso del Capitano il suo corpo ebbe un impovviso sussulto e cominciò a fremere intensamente, e nello stesso istante la bocca lanciò un grido feroce. Un lamento furioso, liberatorio, miserabile, vigliacco ma appagante. Dio solo sa quanto fosse appagante quello strillo della gola.

Sentì che le sue gambe si avvinghiavano ferocemente sui fianchi dell’uomo quasi a costringerlo a fermare quei colpi per un attimo e in un solo momento capì che cercavano ancora quell’ebbrezza, quel grido, quella ferita lancinante dello stomaco che riempiva l’anima di sensazioni. Il corpo dell’uomo si arcuò per uno spasmo dei fianchi ed un sì isterico pervase la voce del Capitano e Munira capì che stava condividendo con il suo uomo la gioia più intima degli amanti.

- “Rimani a dormire qui con me”- le disse il Capitano- “domani mattina andrò a parlare con tuo padre e gli spiegherò tutto, ma ti prego stanotte rimani a dormire qui con me. Non voglio che altri occhi vedano il tuo viso al risveglio prima dei miei. Non voglio che nessuna mano possa sentire le tue mani nell’abbraccio prima delle mie. Non voglio che le tue parole siano ascoltate per primo da nessun altro uomo che non sia io. Rimani a dormire qui con me e ti prometto che questa notte sarà la più dolce e calda delle tue notti, e che il tuo risveglio tra le mie braccia sarà l’unico risveglio che tu possa mai desiderare”.

-”Mi basta saperlo” – gli rispose Munira -  “e la mia notte sarà la più dolce e calda delle mie notti e domani il mio risveglio avrà solo il tuo nome ed il tuo sapore. E se tutte le notti saranno come questa notte non vedo l’ora che arrivi la sera”…

Lui l’accompagnò all’uscio seguendola con lo sguardo finchè non la vide sparire dietro la Torre del Pozzo, sapeva in cuore suo che molte notti sarebbero passate prima di rivederla…


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