Ieri ho scritto un post dedicato alla poesia, “Una poesia al giorno e il tempo del mio esistere rinasce a nuova vita” qui lo ritrovate.
Partendo dal mio pensiero, sulla bacheca Facebook di un amico poeta, ne è nata una interessante discussione, sull’editoria, sui concorsi, sul ruolo della poesia contemporanea. Sul senso dello scriverne. Sulla banalità e sul talento.
Qui di seguito riporto alcuni commenti, a postilla dell’articolo di ieri.
” Se uno si aspetta qualcosa che vada oltre l’aspetto letterario come la fama o il firmacopie, è destinato a soccombere sotto i colpi delle proprie illusioni. Il problema è che non tutti l’ammettono. I concorsi danno una benefica sensazione di piacere, ma a livello editoriale servono a poco, soprattutto per la costruzione di un serio percorso letterario.”
” Trovo che … abbia ben ragione, io nn partecipo ai concorsi e nn ho mai pubblicato nulla. A quanto m’ha detto … in chat, d’altra parte, le vittorie nelle gare di poesia, nn interessano quasi per nulla agli editori. Hanno lo stesso problema, a trovarne uno valido intendo, anche chi conta centinaia di vittorie…per l’editore VERO, contano le vendite, il ritorno economico (dato che investe il suo, è pure corretto) ma nn è facile trovarne uno. Per vero editore si intende uno che , oltre a nn far pagare l’autore che ritiene degno, faccia promozione vera, sui giornali, e altri media, partecipi alle fiere, organizzi presentazioni e …rifornisca x davvero almeno un certo numero di librerie: insomma, stampi il libro…dato che in Italia l’ebook nn mi pare abbia ancora preso piede.”
“Io denuncio la discrasia tra una proliferazione incontrollata dei concorsi e dei poeti e un dato, francamente deprimente, sulla percentuale di lettori, non solo del genere poetico, ma di lettori “tout court”. Oltre la metà degli italiani legge appena un libro all’anno. Pochi (quasi sempre gli stessi) sono gli acquirenti di libri. Il mondo della cultura, quello con la C maiuscola è in fondo un mondo autoreferenziale (della serie “noi ce la cantiamo e noi ce la suoniamo”). Le conventicole letterarie si spalleggiano a vicenda, al punto che il mondo letterario è un “hortus conclusus”. Però, illusoriamente, un po’ tutti cerchiamo il nostro minuto di celebrità, il “quarto d’ora di gloria” che, And Wharol docet, non si nega a nessuno. Un valzer delle contraddizioni, come si può vedere, un panorama desolante : tutti poeti, proliferazione dei concorsi per “ego ipertrofici” ( io tra questi) pochi lettori, pochissimi acquirenti, autoreferenzialità degli “iniziati” alle sette culturali.”
“Una domanda: può essere che la carenza di lettori acquirenti dipenda dalla scarsa qualità del materiale in commercio? Non sarebbe meglio pubblicare “pochi ma buoni” invece che “tutti ma scarsi”?
Leggo spesso, gironzolando su fb, frasi del tipo: “Oggi ho scritto una poesia per partecipare al tal concorso”, oppure: “Ieri ho iniziato il mio nuovo libro. Oggi ho scritto tre poesie, ancora una settimana ed è pronto da mandare in stampa.” Resto basita. Ma chi sono costoro, dei geni, che scrivono a occasione e a produzione industriale, già certi di una vittoria e di una pubblicazione?”
E qui il mio commento
“Leggo con attenzione i vostri commenti. Il pensiero di … è da me condiviso in toto e appunto da quello ne è nato il post che trovate poco sotto e che ringrazio … di aver condiviso. Anni fa seguivo con attenzione la poesia in rete, i gruppi di Fb, anch’io nella mia misera intenzione, ho scritto poesie. Pensavo, nell’ingenuità e nello spirito del momento, che poesia fosse sentimento e basta. Che fosse mettere in righe ordinate parole che esprimessero il sentire. E capivo i concorsi, l’autopubblicazione. Ora non più. Ora credo che la poesia sia un ricamo tra pensiero e metrica, uno studio preciso e curato, che richiede tempo e dedizione. E necessita di un pubblico di lettori preparati e colti, che la sappiano capire e non sprecare. Nei concorsi troppo spesso i giudici non hanno questi talenti, ma sono messi solo a vetrina. L’autopubblicazione poi, può essere ricondotta solo al colmare il proprio ego, tutto qui o per fare felici nonne e zie.
E allora come possiamo fare sì che un’arte così eccelsa possa essere conosciuta e letta dai più? Forse la risposta è “non occorre sia letta dai più, basta un solo lettore che la apprezzi e la viva profondamente,che ne capisca il lavoro e il tempo dedicato; che si segga e rifletta il verso dentro di sé, nelle ore spicce, nelle pause dell’esistenza.” Ecco, se io scrivessi poesia sarei felice anche solo di questo.
Ciao”
…e ce ne sarebbe ancora da scriverne…
Chiara