Siamo all’accanimento terapeutico. E le commissioni dei saggi – per quanto giustificate da un intento nobile – non sembrano “risolutive” del problema.
È vero che c’è bisogno di un Governo. Ma c’è bisogno anche di un Governo che abbia la forza per sviluppare una strategia complessiva di cambiamento drastico (chi scrive ha rilevato almeno cinque priorità assolute su: giustizia e fisco come basi per la riscrittura di un patto sociale nuovo tra i cittadini e tra cittadini e Stato; modifica del mix della spesa pubblica da protezione del “passato” – pensioni – ad investimento sul “futuro” – educazione; meccanismi attraverso i quali chiunque spende risorse dei contribuenti ne rispondere abbattimento di quella burocrazia che rischia di soffocare la stessa democrazia; costi, efficacia e rappresentatività della politica) e che sappia realizzarla coinvolgendo un numero sufficientemente alto di cittadini nel progetto di trasformazione di una società che ha perso dinamismo.
Dopo un mese e mezzo dalle elezioni politiche sembra non ancora chiaro quello che era lampante la sera del Venticinque Febbraio quando fu evidente che le “elezioni più importanti della Storia della Repubblica” avevano prodotto il più assoluto nulla di fatto. Tre partiti lontani dalla maggioranza dei seggi e tra di loro completamente inconciliabili: imargini per un Governo qualsiasi erano assai ridotti; non esistevano per averne uno all’altezza del cambiamento radicale che l’Italia esige.
Dopo un mese e mezzo, la politica italiana non ha fatto un solo passo avanti. Per un mese e mezzo un intero Paese è sembrato dipendere, mani e piedi, da un Presidente della Repubblica che, per fortuna nostra, c’è ma che a quasi novanta anni ha fatto capire di avere il diritto a vivere la sua età.Napolitano è un grande Presidente ma non basta più: c’è bisogno, allora, che sia la società italiana – su iniziativa del pezzo migliore della società civile e della classe dirigente della politica – che deve assumere l’iniziativa.
Certo il confronto con altre classi dirigenti alle prese con problemi inediti di governabilità è imbarazzante. Tre anni fa, a Londra, servirono a Cameron, Clegg e Brown,tre giorni per sciogliere il problema del “parlamento impiccato” e scegliere tra tre diverse possibili coalizioni. Tre settimane furono invece necessarie a Gerard Schroder e Angela Merkel per decidere i termini – peraltro assai ambiziosi – di una “grande coalizione” per superare un impasse simile. Diventa, poi, irriverente l’accostamento con la Chiesa cattolica: ma anche i Cardinali sono stati tre settimane fa alle prese con un problema di leadership aperto da un evento eccezionale quanto lo può essere la dimissione di un Papa che non si verificava da sette secoli; e, tuttavia, anche in quel caso tre giorni ci sono voluti per arrivare ad una fumata bianca. Tre decisioni veloci per formare governi di Paesi di grande importanza o, addirittura, di una Chiesa; governi non transitori, peraltro, pensati per durare – come avvenne in Inghilterra o Germania – per almeno cinque anni.
Da noi, dopo un mese e mezzo non si è fatto neanche un passo avanti. Sarebbe bello avere un Governo ed uno che sia adeguato alle “riforme” (parlerei di cambiamenti) ma voler insistere ad averne uno, o, comunque, accettarne uno qualsiasi, è un po’ come per un malato che preferisce soprassedere mentre il male avanza: piuttosto che affrontare la malattia e accettare di operarsi.
Per manifesta incapacità – non di un singolo politico, ma di un sistema e delle sue regole – è bene prendere atto della situazione.
Ed è allora indispensabile assumersi – qui sì come singoli parlamentari e cittadini, senza aspettare ulteriori mediazioni – la responsabilità di staccare la spina e voltare pagina. Chiedendo a tutti i parlamentari due sole cose.
Una nuova legge elettorale, e, anzi, per semplificare la “convergenza”, il ripristino della legge elettorale che vigeva prima del tragico “porcellum”: la legge approvata per rispondere al risultato del Referendum del 1993 e che prevedeva l’elezione di tre quarti dei parlamentari in collegi uninominali. Si può fare di meglio, introdurre il doppio turno, ad esempio, ma si rischierebbe di perdersi nelle negoziazioni, laddove invece è indispensabile assicurarsi che non si ripeta un risultato come quello che persino Napolitano non sa più come gestire.
L’elezione di un Presidente della Repubblica che sia equidistante dai diversi schieramenti, possa dare continuità all’autorevolezza di quello attuale, e riesca a rappresentare il cambiamento. In questo senso Emma Bonino è praticamente una scelta quasi obbligata.
“Messo in sicurezza il sistema” – come direbbe il capo della Protezione civile osservando un terremoto ed è un terremoto quello che cerchiamo goffamente di affrontare – si potrebbe, persino, pensare di tornare subito alle elezioni. O, comunque, di cercare un governo sapendo, però, che chi prende tempo sarebbe punito – in maniera definitiva – dagli elettori.