L’ultimo numero de “L’Espresso” dedica la copertina e un lungo servizio all’orecchino di Nichi Vendola. Nell’intervista con il candidato premier della Sinistra, si sviscerano tutti gli aspetti legati a quel cerchiettino di oro e diamanti (regalatogli dal compagno per il suo cinquantesimo compleanno) eletto a simbolo di tutta la stranezza di Vendola, di tutta la sua atipicità come candidato alla guida politica italiana, e della sua presunta incompatibilità con la stragrande maggioranza di un elettorato conformista per abitudine, per vocazione, e per innata tendenza a separare i vizi e i vezzi privati dalle pubbliche virtù.
Capisco e condivido tutte le perplessità alla base dell’articolo di Denise Pardo; io per primo continuo a pensare che, avesse anche le idee politiche più brillanti e risolutive della storia, la questione Vendola, in un paese come questo, continuerà sempre a ruotare attorno alla sua omosessualità dichiarata, ai suoi piccoli gioielli da lobo o alla sua voglia di presentarsi all’elettorato il più vicino possibile a ciò che realmente è.
Personalmente, però, mi viene da aggiungere un tassello a questo puzzle della complessa e articolata “questione-Nichi”, una tessera di dettaglio che i commentatori televisivi e nazional-popolari tendono a lasciare in secondo piano ma che, a mio parere, è molto più scottante e problematica della sessualità dichiarata o degli ornamenti a diciotto carati.
Anche quando siede sulla poltroncina easy di Fabio Fazio, o su quella di un talk show dai toni beceri, Vendola tende a parlare un linguaggio “alto”, colto, affollato di citazioni letterarie, di frasi subordinate e di aggettivi precisi che, però, stridono con gli standard della comunicazione a cui siamo tutti abituati.
Io per primo – che pure conosco il significato di tutti i termini usati nel discorso, e ho letto almeno il 60% dei testi a cui fa riferimento – sento una specie di fastidio e di resistenza, di fronte a quella che – probabilmente senza esserlo – sembra tanto un’ampollosa ostentazione snob.
Non credo però sia colpa di Vendola; ho più la sensazione che, a forza di veder parlare una classe politica (bipartisan) molto terra-terra e assai poco sapiente, anche coloro che, come il sottoscritto, apprezzano la cultura, abbiano finito col perdere l’abitudine a sentirsela somministrare, e si siano rilassati accomodandosi su un parlare comodo, piano, accessibile a chiunque e quindi, inevitabilmente, povero. Anche qui è una questione d’orecchio; anno dopo anno, trasmissione dopo trasmissione, ci siamo abituati al semplice, all’immediatamente comprensibile, e non abbiamo più voglia di far sforzi di compresione.
Di fronte a tutto lo scetticismo e ai dubbi su un orecchino, io non posso dunque fare a meno di chiedermi se il vero problema di Vendola non sia invece la sua intellettualità, e quell’ambizione di riuscire a farla passare attraverso il teleschermo per portarla nelle case di chi voterà.
Perché se è vero che, pur bigotti come solo loro sanno essere, gli italiani ormai hanno fatto il callo ai gay, di sicuro non sapranno trattenere il vorace pregiudizio verso chi dimostra cultura e preparazione.
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