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Una questione di traduzione

Creato il 07 agosto 2014 da Chiarac @claire_com_

C’è un altro lato, non conosciuto, che evidenzia come la questione israelo-palestinese venga affrontata in Italia, e che si gioca sul filo della letteratura.

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Dagli anni ’60 ad oggi sono stati infatti tradotti e pubblicati in italiano circa 190 titoli di letteratura israeliana, contro i circa 98 titoli di letteratura palestinese (il numero include alcuni testi di critica letteraria e romanzi, raccolte di racconti, raccolte di poesie)*.

Ma non è tutto, fermiamoci un attimo a guardare nel dettaglio questi dati: la letteratura israeliana è presente in modo massiccio tra le grandi e medie case editrici come Mondadori (che addirittura ha pubblicato più di 30 titoli), Feltrinelli, Piemme, e/o, Neri Pozza, Einaudi, Guanda, Salani, Bompiani. E in misura leggermente minore tra le piccole come Voland, Casagrande, Guida, Theoria (in totale sono una dozzina circa). Un caso a parte è costituito dalla casa editrice Giuntina, specializzata in opere di carattere ebraico e che in questo elenco fa chiaramente la parte del leone.

Molto diverso appare il lato della medaglia che riguarda la presenza della letteratura palestinese nell’editoria italiana: la stragrande maggioranza degli autori palestinesi arabofoni è pubblicata dalle piccole case editrici (molte delle quali “militanti”, e alcune ormai chiuse): ilmanifestolibri, Ripostes, Cicorivolta, Jouvence, Epoché, Edizioni Q, Edizioni Musicali, Argo.

Tra le medie e le grandi figurano: Ilisso, Edizioni Lavoro, Sellerio, Giunti, Guanda (che però ha tradotto solo Sayed Kashua, che scrive in ebraico), Feltrinelli (che però ha tradotto solo Susan Abulhawa e Suad Amiry, che scrivono in inglese), Rizzoli (che però ha tradotto Rula Jibreal, che scrive in italiano), Mondadori (che però ha tradotto solo Widad Tamimi, che scrive in italiano, e Anton Shammas, dall’ebraico).

Anche per la letteratura palestinese va segnalato il lavoro delle Edizioni Q, una casa editrice che, partita con il tradurre la letteratura araba in generale, si è concentrata su quella palestinese (ad oggi sono 8 i titoli all’attivo, tra traduzioni e testi critici).

Sul fronte palestinese va sottolineato infine un fatto negativo: per quanto riguarda i testi palestinesi tradotti tra gli anni ’60 – ’80 quasi tutti sono usciti fuori commercio e sono reperibili solo nelle biblioteche.

Ora, pur ricordando che negli ultimi anni si sono avuti segnali positivi anche dalle principali case editrici (vedi la pubblicazione della trilogia di Darwish per Feltrinelli o la presenza di diversi autori palestinesi al prossimo Festivaletteratura di Mantova, che ha dedicato il focus di quest’anno proprio alla letteratura palestinese), resta il fatto che la sproporzione tra la presenza della letteratura israeliana e araba nell’editoria italiana, osservata su un arco di tempo di circa 50 anni, è palese e innegabile.

Gli autori israeliani sono stati tradotti in massa e principalmente dalle grandi case editrici (il che vuole che hanno avuto più visibilità nelle librerie e dunque più opportunità di raggiungere un pubblico più vasto e generalista: io stessa ho cominciato ad interessarmi alla questione israelo-palestinese negli anni del liceo leggendo Oz e Yehoshua, la letteratura araba è arrivata con l’università, qualche anno più tardi. ). Inoltre, degli autori più famosi sono stati tradotti decine di titoli (a titolo di esempio cito: Oz: 12; Yehoshua: 21; Grossman: 17).

Gli interventi di questi autori sono ospitati sui principali quotidiani d’informazione (o disinformazione..) italiani. Proprio qualche giorno fa mi sono imbattutta in questo tweet di uno degli editor di Einaudi, a cui ho risposto così (senza ottenere alcuna reazione):

repetti

Gli autori palestinesi risultano per lo più sconosciuti e sottorappresentati e la sorte di chi scrive in arabo è ancora più misera, con buona pace della grande ricchezza in termini di diversità linguistica che tradurre una lingua come l’arabo, a differenza dell’inglese ad esempio, porta con sé.

Sorgono spontanee dunque alcune domande: a cosa si deve questo sbilanciamento? Cosa, negli anni precedenti, ha portato gli editor, le case editrici, gli scout letterari a prediligere di tradurre una narrazione, quella israeliana, rispetto a quella palestinese? È una questione di snobbismo, ignoranza o pregiudizio?

E perchè ho spesso ascoltato un traduttore dall’arabo parlare delle ENORMI difficoltà incontrate nel “convincere” gli editori italiani (i grandi e i medio-grandi) a pubblicare delle traduzioni di romanzi o poesie dall’arabo?

O è il pubblico italiano a non essere interessato alla letteratura palestinese? Sembrerebbe di no, a detta dei tanti che mi hanno chiesto negli ultimi tempi consigli su cosa leggere “per capirne di più” (da cui è nato questo post) e dei tantissimi che hanno letto il racconto di Ghassan Kanafani pubblicato qui. Ma chiaramente il mio angolo di osservazione è troppo ristretto e concentrato su se stesso.

Mancano le voci dei palestinesi in questa grande narrazione editoriale italiana della Storia israelo-palestinese, e mi chiedo perchè. E mi chiedo anche se da oggi, vista la crescente condanna da parte dell’opinione pubblica internazionale dei crimini perpetrati a Gaza dallo Stato di Israele, le cose cambieranno.

Certo che se così fosse, che ben magra consolazione sarebbe.


 

* Ringrazio il Prof. Wasim Dahmash dell’Università di Cagliari per i dati relativi alle traduzioni in italiano della letteratura palestinese (dati aggiornati al 2014).

Per i dati relativi alla letteratura israeliana tradotta in italiano ho consultato invece questo sito.  I dati sono aggiornati al 2009, se non vado errata.


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