Di Dalla si è detto di tutto in questi giorni. Non lo conoscevo, o, per meglio dire, non lo conoscevo come uomo. So che è sempre stata una persona “riservata” anche se di lui e della sua omosessualità nell’ambiente si è sempre parlato. Non voglio alimentare polemiche, sterili davanti alla morte, ma sono d’accordo con chi sostiene che quando si parla di omosessualità c’è sempre qualcuno che sostiene che si tratti di un fatto privato. Abbiamo assistito alla carrellata di VIP e politici che si sono stretti nel cordoglio a Dalla, Casini e il mondo ecclesiastico hanno più volte esaltato la fede di Dalla e il suo essere cattolico. Quindi è questo il punto, la fede va sbandierata ai quattro venti, l’omosessualità no. La città, Bologna, si è stretta intorno al suo poeta, silenziosa e paziente, noi abbiamo assistito all’addio di quello che molti individuano come il suo compagno. Non lo sapremo mai perché, se c’era, la loro era una relazione celata da quel senso di “riservatezza” che riguarda solo la condizione omosessuale. Di fatto, oggi, quel ragazzo è stato definito come un amico e non come un compagno di vita. Brutto ribadire questo concetto il giorno del funerale, brutto dover costatare la silenziosa ipocrisia della gente. Perché l’omosessualità va bene se è taciuta ma se si “ostenta”, attraverso la lotta, attraverso la propria quotidianità, allora non va più bene.
Eppure anche noi viviamo le nostre storie, abbiamo famiglie e, purtroppo, a volte, perdiamo le persone che amiamo.
I nostri compagni e le nostre compagne.
Non amici o amiche.
Occorre avere coraggio, occorre smetterla con l’ipocrita idea che tanto l’omosessualità è solo un fatto privato. In una società eterosessuale, costruita dal maschio a sua immagine e somiglianza, l’omosessualità viene rilegata a fatto privato solo per negarla. Non è una questione di privacy. È una questione di cultura e di educazione. Quella cattolica e religiosa, in questo caso. Quella che ci nega il diritto di essere ciò che siamo.
Marino Buzzi
Magazine Opinioni
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