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Una Repubblica fondata sul lavoro… all’estero?

Creato il 11 maggio 2011 da Fugadeitalenti

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Raccolgo e rilancio la provocazione che Sergio, del Gruppo LinkedInLa Fuga dei Talenti“, ha lanciato tra i quasi 600 iscritti: “Nuova proposta Art. 1 Costituzione: L’Italia e’ una repubblica fondata sul lavoro.. all’estero!

Siamo arrivati a tanto? Riassunto delle puntate degli ultimi giorni:

-l’Ocse (cito dall’articolo de IlSole24Ore.com) afferma che “l’economia italiana ha superato la fase di profonda recessione innescata dalla crisi globale e sembra impostata per un graduale ripresa. La forza di questa ripresa però è incerta: sarebbe saggio prevedere una crescita lenta come visto nel decennio prima della crisi. Quindi, la priorità restano le riforme strutturali per aumentare il potenziale di crescita, mantenendo un quadro stabile di bilancio orientato al consolidamento, come adeguatamente perseguito durante la crisi. Tale politica può sostenere la fiducia nella finanza pubblica italiana di fronte al grande stock di debito pubblico, a sua volta aiutare per sostenere il sistema finanziario, la cui salute è fondamentale per la ripresa“. Tradotto in termini semplici: finora avete giocato con la formula del “catenaccio”, ora però ridate slancio al Paese. Col catenaccio non si va lontano… Ricordiamo pure -a chi l’abbia già dimenticato- come l’Italia abbia subito cali del Pil durante la crisi superiori alla media Ue, e ora stia tornando a crescere con percentuali inferiori alla media Ue. La stessa presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha dichiarato: “con un +0,8% o un +1% non si va da nessuna parte“. Quale futuro, a questi ritmi?

-sempre per l’Ocse, la mobilità di reddito intergenerazionale, ovvero la possibilità per i giovani di migliorare il proprio status socioeconomico rispetto a quello della famiglia di provenienza, resta bassa in numerosi Paesi, tra cui l’Italia, e genera diseguaglianze di opportunità. Per l’Ocse questo “avrà inevitabilmente un impatto sulla performance economica complessiva delle economie”. Giusto per fornirvi qualche dato, il coefficiente Gini, che misura l’ineguaglianza dei redditi, assegnava all’Italia uno 0,35 alla fine degli anni 2000, in crescita solo del 13% rispetto allo 0,31 di metà degli anni ’80. Non solo: se il reddito medio dell’Ocse è cresciuto nello stesso lasso temporale dell’1,7% annuo, in Italia la crescita si è fermata alla metà: +0,8%. Solo la Turchia ha fatto peggio di noi. Mi sembra che il “vamos bien” che si sente dire in giro non sia esattamente uno specchio della realtà… Anche perché è logico presumere che queste diseguaglianze di reddito colpiscano proprio le fasce più deboli della società, tra cui i giovani che si affacciano sul mondo del lavoro.

-lo conferma un recente articolo del “Corriere della Sera”, nel quale si mette nero su bianco (ricerca Ires) come -tra i professionisti stagisti e praticanti- sia diffusa la formula del “compenso zero”: solo il 54,1% di loro riceve un compenso mensile per il tirocinio. “Una situazione a dir poco imbarazzante“, sottolinea l’autore dell’articolo, soprattutto se teniamo conto che l’età media dei praticanti sfiora i 30 anni (!), un’età nella quale all’estero si è solitamente ben avviati in carriera ed adeguatamente remunerati. E’ evidente come il 46,7% di questi praticanti finisca poi per considerare il tirocinio come un obbligo o un fastidio necessario. Ma nel Paese delle caste e delle corporazioni inaccessibili questo è il dazio da pagare…

-un recente dossier de “La Repubblica sui raccomandati”, segnalava come “l’Italia sia sempre più il Paese della spintarella. Quasi indispensabile per trovare lavoro, ma anche per vedere riconosciuti i diritti: dalla visita medica alla pratica in Comune. E mentre all’estero è un’usanza deprecata, da noi sembra quasi non subire condanna sociale“. Qualche dato: un italiano su tre ha chiesto favori a politici, il lavoro dopo la sanità è il settore dove è più frequente la “spintarella”, il 28% degli imprenditori afferma di ricevere molte richieste di raccomandati (dati Censis e Unioncamere).

-in questo quadro, l’unica interessante notizia arriva dal via libera del Governo alla riforma dell’apprendistato Ma anche qui, invito a un’attenta lettura dell’editoriale apparso ieri su “Il Corriere della Sera”, a firma di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi. Cito solo alcuni passaggi, molto significativi: “Per capire come affrontare il problema bisogna individuarne la natura. In Italia, nella fascia d’età fra i 16 e i 24 anni, solo un ragazzo su quattro lavora: in Germania, negli Stati Uniti e nella media dei Paesi europei, uno su due. […]Questo divario impressionante non dipende dal fatto che i giovani italiani studiano di più, e quindi non lavorano perché stanno investendo nel loro futuro. Nella fascia d’età 25-34 anni, gli italiani che hanno una laurea sono 18 su cento, meno della metà che in Francia, Svezia e Stati Uniti”.

Poi proseguono: “Non solo i giovani in Italia lavorano poco, ma sempre più sono impiegati con contratti temporanei che raramente sfociano in un contratto a tempo indeterminato. In Veneto ad esempio (dati pubblicati sul sito www.lavoce.info, vedi anche l’articolo di Ugo Trivellato sul medesimo sito) la percentuale di assunzioni (al di sotto dei 40 anni) con contratti a tempo indeterminato è scesa, negli ultimi 12 anni, dal 35 al 15 per cento; le assunzioni a tempo determinato sono salite dal 40 al 60 per cento. Sono quasi scomparsi anche gli inserimenti tramite contratti di apprendistato, la cui quota (sempre in Veneto) è scesa dal 25 al 10 per cento. Altrove al Nord è ancora più bassa. Non conosciamo dati per il Sud. Evidentemente le imprese ritengono altre forme di «assunzione» più convenienti dell’apprendistato”.

Ancora: “Il Testo Unico sull’apprendistato, approvato la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri fa un passo avanti, consentendo l’apprendistato agli studenti delle scuole superiori. Il testo prevede che questa forma di inserimento nel mondo del lavoro sia utilizzabile per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione di ragazzi che abbiano compiuto quindici anni. In questo caso la durata del contratto non può estendersi oltre il termine del ciclo di studi, con un limite di tre anni. Ma il Testo Unico non fa nulla per ridurre il dualismo del nostro mercato del lavoro. Infatti prevede anche che «se, al termine del periodo di apprendistato, nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato», cioè l’apprendista diventa da un giorno all’altro illicenziabile. Poche imprese rinunceranno all’opzione di esercitare unilateralmente il recesso”.

E concludono: “Ma si dovrebbe pensare anche a qualche provvedimento più radicale che sblocchi la gerontocrazia che domina l’Italia. Per esempio, perché non abbassare a 16 o 17 anni l’età minima per votare? O porre dei limiti di età (ad esempio 72 anni) ai politici, ai burocrati, ai membri dei consigli di amministrazione delle società quotate? In questi consigli si vorrebbero introdurre le quote rosa: perché non pensare anche ai giovani (uomini e donne), oltre che alle donne di ogni età? Il problema dei giovani in Italia non è solo economico. Stiamo creando una generazione sfiduciata, disillusa che non s’impegna perché non trova sbocchi e non vede per sé un futuro. Perdiamo molti bravi giovani che se ne vanno all’estero. Non solo i cosiddetti «cervelli», ma anche giovani che non trovando un normalissimo lavoro in Italia lo cercano, e lo trovano, altrove. Una generazione di scoraggiati non si riproduce né economicamente, né demograficamente e crea un pericoloso circolo vizioso. Queste spirali si possono arrestare, ma solo se si interviene presto. Se accelerano diventa impossibile fermarle”.

Stiamo dunque riscricendo l’articolo 1 della Costituzione: “L’Italia e’ una repubblica fondata sul lavoro.. all’estero”?




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