Tu che ne sai di me e delle mie parole, del tempo che passa, delle mie righe, della carta di giornale stropicciata gettata a terra per raccogliere la pioggia? Hai per caso collezionato i ritagli, li hai letti, confezionati, capiti?
Dimmi tu, che ne sai delle mie notti insonni, dei giorni affrettati, le mie paure, ciò che amo, come rido, sorrido, la forma tonda bianca del mio seno l’hai mai vista, il godimento sulla mia pelle quando faccio l’amore?
Tu li hai mai letti i miei libri, sfogliato le pagine, guardato i miei orizzonti, assaporato i miei baci, leccato le mie ferite, rispettato i miei silenzi, i passi, le sconfitte, il buio, l’amore?
Tu che ne sai del colore dei miei occhi, della forma delle parole che faccio nel silenzio della tastiera, aggrappata al telefono, seduta di fronte ad un caffè? Forse hai il potere di definire il volume delle mie passioni, l’intensità degli sguardi, la potenza dei sentimenti, il nome esatto alle mie emozioni: affetto, amore, amicizia, famiglia, dipendenza, ostinazione, presenza, determinandone per ogni parola che scrivo, che ascolti, che leggi, la perfetta definizione, sempre la stessa, uguale, stanca, ripetitiva, un mantra fasullo e pedante?
La presunzione dell’essere umano di sapere tutto dell’altro è una delle malattie dei nostri tempi, segno di imperfezioni e indecisioni.
Chiara