Una sconfinata giovinezza

Creato il 09 ottobre 2010 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Il 42esimo film di Pupi Avati è un’opera importante, non solo per la rilevanza sociale della tematica affrontata, ma anche perchè il regista vi rievoca il suo vissuto più intimo, dalla tragica morte del padre all’esperienza della propria iniziazione sessuale. – Avrei potuto intitolarlo “Una sconfinata infanzia” – dice il cineasta 72enne, che confida di sentir ‘sgomitare’ con sempre maggior forza dentro di sé il bambino che è stato in passato. “Ognuno di noi nell’infanzia ha vissuto qualcosa di straordinario e di assolutamente irripetibile; io ho cercato, attraverso il cinema, di far riaffiorare quel momento magico e di mescolare le carte del tempo”.

Fabrizio Bentivoglio e Francesca Neri interpretano con naturalezza e intensità la prima grande storia d’amore nella filmografia di Pupi Avati (è anche il primo lavoro in cui entrambi i protagonisti “sono belli”, sottolinea il regista): si tratta di un sentimento così umanamente intenso da valicare i confini del legame coniugale e trasformarsi in qualcosa di ancor più profondo ed esclusivo.

Il merito fondamentale di Una sconfinata giovinezza, distribuito da 01 Distribution con oltre 200 copie, è quello di affrontare una patologia complessa e sempre più incidente sulla popolazione come l’Alzheimer, che aveva già ispirato lo splendido film canadese Lontano da lei (2006), ma di cui finora il cinema italiano si era occupato solo marginalmente con La finestra di fronte (2003) e La ragazza del lago (2006).

Dopo aver scritto la sceneggiatura, Pupi Avati ha chiesto la consulenza della professoressa Luisa Bartorelli (presidente dell’Associazione Alzheimer Uniti Onlus) per delineare al meglio il personaggio di Angelo Settembre, giornalista sportivo di successo al quale la malattia strappa progressivamente linguaggio e memoria, e soprattutto per raccontare con verosimiglianza il vissuto delle persone che lo circondano. – Poichè l’Alzheimer non colpisce solo i malati, ma causa sofferenza ai loro parenti – dice il regista – ho cercato di immaginare una sublimazione del dolore con un film che propone l’accoglienza di questa sofferenza nella propria vita. Data la delicatezza della tematica, l’intento di tutta la troupe è stato fin dall’inizio quello di non far scivolare lo spettatore nella commozione facile.

Lucilla Colonna


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