19 settembre 2012 Lascia un commento
Avati diverte con "Gli amici del Bar Margherita" sino alle lacrime e a distanza di pochi mesi quelle lacrime scorrono copiose per un film straziante e dolcissimo come una "Una sconfinata giovinezza".
Il tema e’ serio, doloroso, terribile quando si parla di Alzheimer, malattia spaventosa perche’ strappa pensieri e ricordi poco a poco, trasforma il carattere, precipita il malato nell’oblio di una non-esistenza lasciando a chi si ama un guscio vuoto irriconoscibile e per questo piu’ tragico della morte nel quotidiano confronto con cio’ che si era, con quanto si e’ diventati.
Avati pero’ non erge la malattia a protagonista lasciando come sempre i sentimenti al centro della scena, senza proclami, nell’accettazione di una lotta senza vincitori, nel coraggio di mettersi in gioco sapendo di perdere.
Non sono un fan di Bentivoglio ma lo rispetto e certo qui e’ intoccabile, solo a tratti appena sopra le righe.
Al contrario mi piace poco o niente Francesca Neri ma devo togliermi il cappello innanzi una prestazione maiuscola constatando ancora una volta che Avati sa fare miracoli coi suoi attori. Cavina in un ruolo troppo piccolo ma certo sempre presente, ricordando Lino Capolicchio che mi ha fatto una gran impressione nel rivederlo ormai nel pieno dei suoi anni ma sempre all’altezza della sua storia professionale.
Il film fu escluso dal Festival di Venezia e ricordo che Avati se la prese ma quale miglior complimento per un Maestro come lui, l’essere escluso da un festival che anche di recente ha saputo presentare buffoni e buffonate nel costante impegno a mostrare al mondo il peggio, del peggio, del peggio che il cinema italiano possa esibire.
Opera dura quanto meravigliosa che solo Avati poteva addolcire senza retorica e con tanta passione.