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Una scuola che serva

Creato il 24 aprile 2014 da Spaceoddity
Una scuola che servaLa scuola deve servire? Deve avere una ricaduta immediata? Me lo domando sempre più spesso, me lo domando in particolare da quando un ragazzo ormai ufficialmente disperso nel nostro istituto, a una raccomandazione di non fare più assenze, con tono ironico ha detto che non avrebbe fatto più assenze, perché (sorridendo con un palese tono antifrastico) "un po' di scuola ci vuole" (e, forse, qualche mio lettore siciliano indovinerà le parole esatte e il tono con il quale sono state pronunciate).
Ora, la scuola deve anche ribellarsi a certi meccanismi della realtà contemporanea, ma non può astrarsi ed essere solo altro. Non può rifiutarsi di avere una ricaduta. Una scuola così è destinata a un sicuro - e forse anche meritato - fallimento, nonostante tutti i suoi sforzi. La conoscono tutti i miei colleghi, quell'ebbrezza, quel girare continuamente a vuoto di un motore che tenta invano di agganciare i ragazzi. Il lavoro dell'insegnante che si impegni è ansiogeno e pieno di delusioni, però un po' ce lo aspettavamo, no?
Faccio un esempio che deriva dalla mia esperienza. Nel mio passaggio da un liceo classico a un istituto professionale ho avvertito quello stacco drammatico che alcuni possono intendere come precipizio o addirittura "squalifica". Come se fossi passato dalla dirigenza dell'intelletto alla pura manovalanza. A parte il fatto che sono ben lieto di raggiungere il cuore del mio lavoro, devo però costatare che forse sono stato un po' superficiale nel gestire questo tipo di salto.
Mi sembrava, infatti, che rimediare all'urgenza fosse un impegno improrogabile e pertanto affannoso. Ho trovato dei ragazzi con un prevedibile disagio sociale, affettivo e culturale. Ora, una delle caratteristiche dell'emergenza è quella di rimediare con delle toppe, fare del problem solving, ovvero di strategie "chirurgiche", la base di un intervento per far camminare il malato claudicante. Ma, pur dettato da tanto entusiasmo e infinita buona volontà, un simile approccio non basta e anzi è dannoso.
Mi sono convinto adesso, alla fine dell'anno, che il mio ruolo non era quello di rimediare alle disastrate competenze grammaticali, ma di insegnare loro, nei limiti dei miei mezzi e della loro età, a leggere e a scrivere. Le due cose a un certo punto non sono così correlate come verrebbe automatico pensare e come io stesso vado dicendo da tempo. Succede cioè che il paradigma teorico al quale si vuole appartenere viene spesso ignorato in funzione dell'emergenza (anche di ciò si è parlato durante l'incontro su COMPÌTA a Palermo).
Ho provato ad applicare tutta quella serie di strumenti e metodologie che avevo pensato sulla base della didattica delle lingue seconde, ma mi sono accorto che ancora quell'impostazione risentiva troppo di due aspetti: l'ho sperimentata su classi che erano già mie e su ragazzi che frequentavano un liceo classico. Oggi a me sembra, onestamente, che un approccio che sia così orientato a un target rischia di essere impreciso e disfunzionale anche con quel tipo di studenti.
Vale a dire che, se ha funzionato prima, potrebbe essere stato solo un caso (riassumendo nel termine "caso" anche quel linguaggio disinvolto che ho fatto mio nel corso degli anni nello stesso tipo di istituto, magari senza interiorizzarlo appieno). Quello stesso insieme di strategie deve essere ripensato per intero con ragazzi che frequentano un professionale, però rimane per me imprescindibile l'esigenza base di un approccio integrato alla lingua, di una grammatica della comunicazione radicale rispetto alle regole.
Una scuola che servaNon saprei neanche dire al momento se ciò significhi necessariamente "didattica induttiva", sono piuttosto ostile alla faciloneria con la quale la si privilegia. Quello che senz'altro intendo è che in questo contesto, più che al liceo classico, sto avvertendo l'esigenza di andare un po' più a fondo nei modelli linguistici, nella filosofia del linguaggio. Davvero, senza falsa modestia, mi convinco adesso di aver fatto con i miei ex alunni un lavoro ben modesto, se giungo solo ora a queste considerazioni.
Ciò non vuol dire, è ovvio, che si deve sovrapporre un modello linguistico nuovo a quello mal masticato dai ragazzi, anzi. Ma che se si deve integrare ciò che a queste giovani persone manca non si deve procedere solo con un indice disciplinare da "protocollo": prima si fa questo, poi si fa quello, così si può fare quell'altro. Bisogna mostrare l'utilità dell'esprimersi in un certo modo, la ricchezza che se ne può guadagnare, le possibilità che si possono aprire e i controsensi che si possono risolvere.
Non è facile, anzi è difficilissimo. I ragazzi con i quali passo le mie mattine sono innanzitutto indifferenti. Per loro la scuola non è utile per il semplice motivo che non le danno la possibilità di esserlo. A detta loro, tutto è uguale, l'italiano già lo sanno, perché lo devono studiare ancora? Tanto si capiscono. E hai voglia di dir loro - futuri meccanici, elettricisti, operatori elettronici - che è un po' come un bullone debole, la macchina non funziona come dovrebbe e si rompe al minimo urto. Intanto si capiscono e per questo tipo di ragazzi conta solo intanto.
In più si deve o elemosinare il tempo di lavoro in classe, tra le proteste, la solitudine e gli scherzi non proprio edificanti, o usare strategie più "seducenti" che all'apparenza li impegnino di meno o non li impegnino affatto. (Non posso nascondere che questo è l'aspetto più faticoso, intendo proprio sul piano fisico, nel mio lavoro oggi). Però io non vedo altra strada, se voglio insegnare loro qualcosa che sia utile, anzi se voglio che per loro l'intera esperienza scolastica sia utile..
Perché ciò accada, bisognerebbe che la scuola, più che puntare all'utilizzabile (categoria mentale che prevede l'interesse nel risolvere un problema, in questo caso posto dall'istituzione, interesse tutt'altro che condiviso), diventasse necessaria. Benché quest'ambizione travalichi i compiti di qualunque consiglio di classe, sta a noi tentarci ed essere credibili. La scuola non è tutto nella vita dei ragazzi, ma non può estraniarsi dal tutto che è la propria vita, sarebbe profondamente ingiusto, un furto di ore, giorni, mesi, anni a tutte le giovani generazioni.

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