Martedì dopo il lavoro stavo rientrando a casa, ero sulle scale al telefono con la mamma. Una volta messo giù il mio telefono mi avvisa che avevo un messaggio in segreteria.
Era Antje, l’amica di Ursel, che, per ringraziarmi della mia collaborazione alla sua mostra a inizio settembre, mi invitava a teatro giovedì sera. Non a un teatro qualunque: al teatro degli spettri (Spuk Theater). Nel messaggio mi dice che non ha ben chiaro anche lei di cosa si tratta, che centrano però suggestione e magia. Sia io che Ursel siamo invitate. “Ok – mi dico – la richiamo. Se Ursel ha accettato allora vado anche io”. Antje mi dice che l’appuntamento è alle 20:00 allo Schlachthof (il vecchio mattatoio dove lei lavora) e che Ursel ha detto di sì. “Volentieri allora, ci sarò anche io”.
Arriva giovedì sera, io e Ursel con le nostre biciclette andiamo all’appuntamento. E’ già buio, incredibile come faccia buio presto in questi giorni qui. Parcheggiate le biciclette, a darci il benvenuto all’ingresso dell’edificio Radalou, un uomo sulla cinquantina con gli occhiali e l’accento francese.
Saliamo le scale e ci troviamo in una stanza dalle pareti bianche con delle panche con sopra dei cuscini per sedersi. Radalou ci da il benvenuto, siamo in otto. Inizia lo spettacolo e Radalou ci racconta che lo Spuk Theater è una forma particolare di teatro nella quale vengono coinvolti i sensi delle persone che partecipano. Ha a che fare con la suggestione, la psiche e i propri limiti che però non vanno mai superati, quindi se per qualcuno di noi il tutto dovesse diventare troppo, siamo pregati di avvisarlo. Ogni tanto, parlando, si interrompe chiedendo se abbiamo sentito anche noi un rumore. “Iniziamo bene”, penso io.
Radalou dice che faremo degli esperimenti ma che per farli abbiamo bisogno di fidarci l’uno dell’altro, allora ci invita a dare la mano al vicino alla nostra destra dicendo “Mi fido di te”. Ci racconta poi la storia del vecchio mattatoio e dell’edificio in cui ci troviamo. Le bestie all’inzio del 1900 venivano portate al mattatoio per essere uccise e per ricavarne la carne. Tra gli allevatori del 1930 c’era anche un signore che si chiamava Joseph Probst, aveva famiglia e si era trasferito a Karlsruhe da poco tempo. Un giorno però la sua famiglia ebbe un incidente: moglie e figli morirono. Straziato dal dolore Probst si tolse la vita proprio nel vecchio mattatoio nella stanza accanto alla nostra. Radalou invita allora Ursel a scrivere una parola su un foglio di carta e conservarla nella tasca dei suoi jeans senza dirla a nessuno.
Ci invita allora a cambiare stanza ed entriamo proprio dove Probst si tolse la vita. La stanza era illuminata dalla luce di alcune candele, sulle pareti vi erano due tende blu, un tavolo era posizionato al centro e vi erano una decina di sedie, otto per noi, due per Radalou e i suoi esperimenti.
Radalou ci invita a sederci e a prendere in mano una chiave che era allora la vecchia chiave della stanza quando Probst si tolse la vita. “Alcune persone – dice – vedono, tenendo in mano questa chiave, che essa emana dei raggi”. Chiede quindi a ognuno di noi se vediamo qualcosa tenendola in mano. Ci fa passare anche un anello tra le mani. Alcuni di noi dicono di aver visto qualcosa tenendo in mano la chiave, io però non vedo niente.
Radalou, finito il giro, prende in mano la chiave se l’appoggia al polso e la chiave si capovolge da sola spostandosi sul suo palmo. “Ottimo”, penso io scettica.
Iniziamo con gli esperimenti.
Un signore tra noi spettatori viene chiamato fuori e gli viene chiesto di pensare a un numero e di mandare mentalmente l’immagine di quel numero a Radalou che magicamente indovina il numero a cui questo signore stava pensando: 7.
Tatiana, un’altra amica di Ursel, viene chiamata fuori e viene ipnotizzata con gli occhi chiusi. Radalou allora ci mostra due mazzi di carte, uno normale con numeri e figure sopra e uno con solo il retro colorato come un mazzo ma il fronte delle carte vuoto. Mette il mazzo normale sul tavolo ed estrae una carta, il tre di quadri. Ci chiede allora di mandare mentalmente a Tatiana questa carta e a lei mostra una carta dal mazzo vuoto. Svegliata dall’ipnosi, a Tatiana viene chiesto che carta ha visto: “Il tre di quadri”, risponde.
“C’è qualcuno bravo in matematica tra di voi?”, chiede Radalou. Nessuno risponde. “Bene perchè io ho bisogno di qualcuno bravo nelle lingue straniere”. Mi guarda. “Qual è la tua madrelingua?”. “Italiano”, rispondo. “Capisci il tedesco?”. “Se capisco il tedesco?! Diciamo che io ti capisco, quindi direi di sì!”. “Vuoi venire fuori?” Mi pone davanti un libro e mi chiede di leggere ad alta voce la prima parola che leggo in una pagina a caso aperta da lui, per due volte. La parola era sempre la stessa “ich”. Allora mi chiede di prendere il libro in mano chiuso, aprirne una pagina a caso leggere la prima parola a mente e mandargliela telepaticamente. Io ci provo e lui indovina: “Besonders”. A questo punto mi chiede ancora di aprire una pagina a caso del libro e di scegliere una parola lunga nel mezzo della pagina e di fare come prima. “Armbanduhren”, indovina anche questa. “Sei brava”, mi dice. “No no tu sei bravo”.
Fa fare a ognuno di noi dei giochi, ad alcuni anche più di una volta. Un gioco di questi ci rimanda a Probst. Proviamo quindi a invocare il suo spirito. Ursel esce perchè per lei era troppo. Io rimango.
Radalou spegne le candele e ne lascia accesa solo una al centro del tavolo. Ci chiede di sederci tutti vicini e di prendere con la mano destra il polso sinistro della persona che ci è accanto formando una sorta di catena. Mette l’anello in una scatola e lo consegna a un partecipante che lo ripone nella sua giacca. Da due foglietti rosa vuoti ad Antje e la prega di metterli sotto la gamba. Mette una penna appoggiata in bilico sopra un bicchiere e spegne la candela. E’ buio.
“Joseph Probst se ci sei dacci un segno”, la penna cade nel bicchiere facendo rumore. “Joseph Probst se ci sei dacci un segno più chiaro”, si sente come un rumore di una moneta lanciata sul tavolo per due volte. “Joseph Probst perchè sei qui?”, nessuna risposta. A un certo punto sento come una mano sulla spalla, scopro di non essere l’unica. “Qualcuno mi ha toccato”. “Anche a me”, “Anche a me”, “Anche a me”. “Anche a me”, dico io. “Ok ok, faccio di nuovo luce”, dice Radalou.
Ursel viene invitata a entrare di nuovo. Tutti ci guardiamo attoniti. Sul tavolo un biglietto, c’è scritto qualcosa “Liebe”. “Ma è la parola che ho scritto io all’inizio sul foglio che ho messo in tasca”, dice Ursel. Antje tira fuori i biglietti che aveva sotto la gamba, anche su questi c’è scritto qualocosa: “Der Ring” (l’anello). Tutti ci giriamo verso il signore che lo custodiva nella giacca, è sparito. Era questo il motivo per cui Probst era tornato.
Lo spettacolo si conclude e Radalou precisa che quello che abbiamo visto era solo teatro, di vero c’erano solo le nostre sensazioni. Una domanda a me però rimane: chi mi ha toccata?