Cercavo di raccontarti, era qualcosa che aveva a che fare coi finestrini in movimento, con la pianura già leggermente ghiacciata e l'autostrada che portava via anche la voglia di preoccuparsi.
Tu avevi parole precise e i tuoi problemi riguardavano cose che si possono o non si possono avere, che si possono o non si possono fare. Io avevo un orizzonte di cui non conoscevo il senso e l'immanenza.
Una città viva schiudeva le sue mura perenni. Si lasciavano scorgere dalle recinzioni addormentate, dalle distese ormai brune dei vivai. E chiamava, chiamava tanto lontano da spezzare le ginocchia. Allora ti guardavo un po' vergognosa come fanno le cagne piene d'amore. Ti guardavo e mi eri anche accanto, oltre che distante, e non sapevi quanto avrei desiderato sentire anche laggiù la tua mano benigna, i tuoi passi così come li conosco nel mondo.
<Lascia che ti racconti una favola> balbettavo, per trattenerti.
< Bella> mi rispondevi, grata, luminosa.
Ma restava una ruga adulta al centro della tua fronte. Senza neanche saperlo avevi già deciso di continuare da sola la tua marcia, incontro al domani.