Il capitalismo non crollerà di venerdì
A quanti sostengono che il capitalismo non può crollare si risponderà in seguito, in modo da perfezionare la risposta: ma una cosa è certa, non sarà un venerdì il giorno in cui il mondo capitalista si renderà conto della sua propria rovina. Ci saranno sicuramente dei cattivi lunedì, dei martedì catastrofici, dei mercoledì ancora peggiori e dei giovedì fatali. Ma non verrà permesso che ci sia un ultimo venerdì nero.
Sarà di lunedì quando avverrà che un nuovo paese, significativo a livello degli scambi economici mondiali, dichiarerà che da parte sua che non accetterà più pagamenti fatti con i dollari del Monopoli. Sarà un martedi quello in cui altri paesi seguiranno. I mercati finanziari - sui quali i raccoglitori di fondi statali ed i venditori privati dei titoli obbligazionari vendono i debiti di Stato, vale a dire ricevono fondi (il cui valore è noto) in cambio di una promessa di versamento di un interesse annuale e di un rimborso del capitale a termine (ad un valore futuro incerto) - si renderanno conto che i grandi speculatori capitalisti non vogliono più comprare obbligazioni espresse in dollari, comprese quelle emesse da quei governi che non hanno la possibilità di stampare dollari a volontà - e quindi svalutare la moneta per mezzo della quale dovrebbero più tardi effettuare i rimborsi - e che cercano anche di vendere le obbligazioni di cui sono in possesso.
Questo può anche avvenire durante un periodo di interessi negativi, come quello in cui ci troviamo in questo momento, dove l'economia mondiale è messa talmente male (tranne che sulla stampa economica, la quale sembra celebrare una qualche sorta di mistero positivo ogni qual volta il Baltic Dry Index infrange un nuovo record di immobilità del trasporto marittimo internazionale) che gli speculatori preferiscono pagare pur di prestare agli Stati, piuttosto che comprare dei prodotti finanziari (siano anche vere e proprie azioni di imprese) oppure semplicemente affidare i loro capitali ad una banca, sapendo che le banche continuano ad emettere estratti conto falsi, e legalmente non si deposita più del denaro su un conto ma si presta del denaro alla banca, denaro che entra a far parte delle sue spese di gestione allo stesso titolo delle commissioni bancarie.
A partire da martedì, l'alta finanza apolide cercherà in tutti i modi di sbarazzarsi di tutto ciò che viene definito "attivo" (assai spesso titoli passivi o certificati di debito) espresso in dollari; attivi, la cui grande svendita li farà precipitare. Parallelamente, cercherà di rimpiazzare i fondi superstiti per mezzo di titoli espressi in altre valute, in primo luogo i titoli espressi in una qualche grande moneta accettata a livello mondiale (euro, yuan, franco svizzero), poi quelli espressi nelle monete delle grandi potenze economiche dotate di valute più instabili (reale, rublo, lira), infine quelli di tutte le altre valute, dal momento che le cifre avranno superato le capacità di assorbimento da parte dei principali mercati valutari.
Ora, se il lunedì ed il martedì gli indicatori di cambio indicheranno che il corso del dollaro è basso in rapporto alle altre monete (o che il corso di queste, espresso in dollari, si impenna), a partire da mercoledì avverrà un riequilibrio delle monete del paniere principale in quanto le economie di tutti i grandi paesi - i cui governi emettano o meno obbligazioni in dollari - sono legate alla più grande economia debitrice di tutti i tempi. Anche i paesi che non esportano niente verso gli Stati Uniti - questo enorme acquirente deficitario mondiale - gli hanno fatto comunque credito in quanto gli Stati Uniti assorbono l'80% del prodotto dell'economia mondiale; il che significa, ad esempio, che le eccedenze finanziarie del commercio locale fra la Malesia e l'Indonesia, convertite in dollari, vengono piazzate negli Stati Uniti.
Così, anche se gli Stati Uniti, in questo momento, decidessero di non minare ogni alternativa al dollaro, e facessero scattare la rivoluzione verde in Europa o nella vetrificata Shangai, i fallimenti bancari e statali nel mondo intero, conseguentemente al ritorno del dollaro al suo vero valore, priverebbero di qualsiasi rifugio i capitali apolidi. Gli operatori responsabili del salvataggio di questi grandi capitali tenteranno allora di mettere le mani sulle materie prime, fino a questo momento disprezzate in quanto non importanti per la redditività di un prodotto finanziario (come il metallo), o che stanno conoscendo una flessione della loro domanda a causa del rallentamento di tutte le economie (come il petrolio).
I grandi intermediari - che avevano incoraggiato i loro clienti statali, istituzionali e privati a disfarsi subito dei loro metalli preziosi in quanto non servivano a niente dal momento che in questi ultimi anni bisognava soddisfare la Cina e allo stesso tempo ritardare il crollo del dollaro e del capitalismo dollarizzato - all'ultimo minuto si metteranno alla ricerca di ogni lingotto. Nonostante gli accordi per la manipolazione dei corsi, il cartello che detta il falso prezzo dell'oro e dell'argento dopo il 6 settembre 2011 non potrà impedire che un'istituzione o due mostrino un improvviso appetito per quel poco di metallo prezioso che rimane sui mercati occidentali, il cui volume di scambio è stato a poco a poco ridotto a qualche briciola, passando ormai la maggior parte delle vendite fra i paesi capitalisti e la Cina (tramite le fonderie svizzere, e un tempo per quelle sudafricane) attraverso degli accordi facoltativi, fuori dal mercato visibile delle quotazioni ufficiali.
L'inquadramento del mercato dei metalli preziosi negli Stati Uniti, ha fatto sì che tale mercato ha cessato ufficialmente di essere un libero mercato dell'offerta e della domanda il 22 dicembre 2014, data a partire dalla quale ogni apprezzamento dell'oro (e lo stesso è avvenuto per gli altri metalli) superiore ai 200 dollari, ossia il 16% del corso attuale, avrebbe portato ad una sospensione seguita da una riapertura al corso precedente (acquirenti e venditori non hanno il diritto di concordare su un corso superiore), e poi la chiusura, se ciò dovesse avvenire per quattro volte durante la stessa giornata... e la riapertura l'indomani al corso del giorno precedente, di modo da vietare qualsiasi improvviso aumento dell'oro (in realtà qualsiasi crollo improvviso del dollaro) in quanto secondo questo sistema basterebbero tutt'al più quattro giorni per ritrovare semplicemente il corso del 6 settembre 2011.
Ora, è evidente che dopo quattro giorni consecutivi di abbassamento del dollaro si arriva a venerdì. Si farà tutto quello che serve a tal fine, conservando un'ultima cartuccia per sparare sulla plafoniera e spegnere così la luce prima della sconfitta. Un paese sull'orlo della bancarotta (il Venezuela, per esempio), o strettamente legato all'economia statunitense (il Canada, ad esempio), oppure un paese in cui si arriverà a corrompere o a minacciare il governo, dichiarerà improvvisamente la vendita di tutte le sue riserve auree, alleviando il mercato (considerato il volume che serve al Comex per giustificare la fissazione del corso, dieci piccole tonnellate cambierebbero tutto), dando così il pretesto alla stampa economica di spiegare che è stato un falso allarme, che c'era una "bolla speculativa" ingiustificata, ma che ora avremo sempre di che soddisfare la Cina, i prezzi ripartiranno al ribasso e ci saranno degli individui o delle piccole banche che si lasceranno convincere che i prezzi si abbasseranno ancora, e venderanno precipitosamente quello che loro rimane.
Quel venerdì, il prezzo dell'oro e degli altri metalli preziosi, dopo quattro giorni di un aumento affatto relativo (dal momento che ogni aumento superiore a 200 dollari porterà alla sospensione del mercato ed il ritorno al prezzo precedente) si abbasserà, in dollari.
Quel venerdì, il dollaro non si rivaluterà soltanto nei confronti dei metalli preziosi ma anche nei confronti di tutte le altre valute.
Poi, il sabato o la domenica, nel mondo accadrà qualcosa che servirà per potere scrivere la prima pagina del giornale del lunedì mattina. Quello stesso lunedì mattina, il mercato delle materie prime, il Commodities Exchange newyorkese non aprirà (basterà che riconosca che non c'è niente da vendere oppure che il palazzo è bruciato), il mercato londinese nemmeno, e gli ultimi acquirenti di oro e di argento riceveranno un indennizzo in dollari, secondo la valuta di venerdì. Certo, si verificherà un'altra nuova anomalia, ma avverrà negli ultimi giorni e su un mercato insignificante ed in una maniera relativamente saggia (in quanto manipolata). La Commissione Europea o la Banca Centrale (di sicuro non i ventotto capi di Stato) si vedrà proporre l'accelerazione del varo del grande mercato transatlantico che giustifica la "fusione" delle monete, quelle delle dodici stelle e quella del gigantesco buco nero, vale a dire il camuffamento (un salvataggio è impossibile) del debito statunitense per mezzo dell'economia europea e la compensazione del deficit statunitense per mezzo delle eccedenze europee, che vedrà gli Stati Uniti totalmente esenti da ogni obbligo di conformarsi ai criteri di convergenza dell'euro.
Se, a nome dei suoi popoli e dei suoi cittadini non consultati, l'Europa accetterà, il dollaro sarà definitivamente fissato ad un euro e trascinerà verso il basso il valore di quest'ultimo. Se l'Europa rifiuta, il dollaro rimarrà definitivamentre fissato intorno a circa due millesimi di oncia d'oro, ma in tal modo non verrà più accettato in pagamento per qualsivoglia cosa in tutto il resto del mondo, i suoi utilizzatori vedranno il suo valore dissolversi, rapidamente, al ritmo dell'iper-inflazione statunitense. In ogni caso, nell'ultimo giorno di esistenza dei mercati occidentali dei metalli preziosi, il dollaro avrà sperimentato un soprassalto artificiale volto a recuperare il suo corso.
Il capitalismo non collasserà un venerdì.
Delenda Carthago
fonte: Stratediplo