Una settimana di “Vergognamoci per lui” (119)

Creato il 30 marzo 2013 da Zamax

Un giorno di gogna non fa male a nessuno. Come dicono i filosofi più in gamba, è tutta esperienza. Su GIORNALETTISMO.COM

MONI OVADIA 25/03/2013 Quando si tratta di liquidare un avversario politico, la prima mossa del giacobino è quella di negare al malcapitato la dignità di avversario politico. Ciò lo legittima ad usare mezzi non politici. La seconda mossa è quella di denunciare la profondità del male che sta corrodendo la nazione, e l’urgenza di porvi rimedio. Ciò gli permette d’eliminare l’infame in forza di una misura di salute pubblica, termine con cui i cultori della legalità nobilitano l’arbitrio. Alla manifestazione per l’ineleggibilità del Caimano promossa dai fanatici di Micromega c’era anche Moni Ovadia, il quale, in obbedienza stretta alla regola sopramenzionata, ha parlato di Berlusconi come «di un Re Sole che non è un avversario politico perché è pieno di privilegi», e del berlusconismo come di «una patologia che si protrae da venti anni ma non per questo ciò significa che è meno grave». Attraverso le sue opere l’artista di origine ebraica è alfiere, credo di capire, di una tollerante, carnevalesca e cosmopolita fratellanza. Che a me andrebbe anche abbastanza bene, se non fosse che l’umanitarismo intransigente di queste icone della società civile, quando si tratta di abbattere il «male», si distingue immancabilmente per la sua disumanità.

Update 02/04/2013 Moni Ovadia ha risposto sul sito web de “L’Unità” al mio ferale attacco con queste parole:

Google alert, questa settimana, mi ha portato un gioiello di logica proberlusconiana di raro pregio, apparso sul sito Giornalettismo a firma Massimo Zamarion. Lo riporto integralmente per la delizia del mio lettore: (…) L’estensore di questa perla mi definisce giacobino e fanatico perché chiedo, insieme ad altri cittadini, di applicare una regola fondamentale di ogni democrazia liberale ovvero che nessuno, si chiami Berlusconi o pinco pallino, possa essere candidato ad elezioni qualora sia titolare di concessioni pubbliche e, in particolare, nel campo dei media. Fare un appello raccogliendo firme per chiedere il rispetto della Costituzione e l’applicazione corretta di una legge vigente promulgata dal parlamento sovrano sarebbe «liquidazione di un avversario politico» con altri mezzi (quali? La ghigliottina? La garrota?). Come se non bastasse questa stupidaggine, Zamarion mi definisce disumano contro ciò che io stesso diffondo nei mie spettacoli, ovvero l’umanesimo etico e spirituale del mondo yiddish. Ma quel mondo glorifica lo splendore dell’uomo fragile, la bellezza malinconica dello sradicato che elegge come patria l’esilio e per questo sa librarsi fra cielo e terra. Berlusconi incarna l’esatto opposto di quell’umanità sublime perché celebra l’idolo del privilegio, della disuguaglianza, della mistica del capo. Non a caso non perde occasione per incensare Mussolini. Ma i suoi sacerdoti, apologeti del nonsenso ossequiente ai desideri del Principe, sono proni a tal punto che non si vergognano di chiamare umanesimo l’incessante sfregio della democrazia.

Me ne sono accorto solo ieri, e ho cercato di mandargli un commento in risposta. Ma sarà che sono arrivato fuori tempo massimo, sarà che sono imbranato, sarà che sono stato tremendamente efficace, il commento non è apparso. [02/04/2013, sera: è stato pubblicato, NdZ] E allora lo riporto qui per la delizia del mio lettore:

La mia rubrica è chiaramente provocatoria, spesso semi-umoristica e a questo fine usa parole pepate. Ma è leale e schietta. Non insinua, non allude, va dritta al suo scopo. Pur essendo me stesso e pur essendo dichiaratamente berlusconiano, i miei strali sono caduti impietosamente una volta anche su me stesso e spesse volte anche sul Berlusca. Chi vuole può controllare nell’archivio. (…) Lo scopo del mio attacco a lei era quello di inchiodarla alle sue contraddizioni. Nientepopodimeno. Che poi sono le contraddizioni di molti campioni dell’umanità del passato, pronti a ostentare una finissima sensibilità per tutto ciò che è umano, nella sua ricchezza, nella sua fragilità, nella sua diversità ecc. ecc. Lo stesso Robespierre si considerava un “intransigente” democratico e liberale, e nel 1791 fu il primo deputato a perorare in un parlamento europeo la causa dell’abolizione della pena di morte che descrisse così: omicidio giuridico, crimine solenne, vile assassinio, usanza barbara ed antica, il più raffinato esempio di crudeltà. Due-tre anni dopo ghigliottinava su scala industriale. Tocqueville notò poi come la letteratura pre-rivoluzionaria grondasse sentimentalismo e umanitarismo. Se lei dimostra tanta comprensione per questa povera umanità, tanto da fare dell’ebreo di cultura yiddish – cittadino del mondo per forza, e quindi quasi per forza sollevatosi sopra le miserie nazionalistiche e materiali – colui che meglio la interpreta e meglio la riscatta, perché poi da quelle altezze cede pure lei alla ridicola mostrificazione del Berlusca e alla caricatura della plebe che lo vota, nonché dei suoi “sacerdoti”? Perché poi cede a quel ridicolo concetto semi-religioso della democrazia proprio dei giacobini e alla ridicola semi-divinizzazione della Costituzione e al legalismo capzioso di chi cerca pretesti? Sono cose proprie dei millenarismi e delle ideologie. Che si sa, sono settarie per natura. Non vi accorgete che state professando una specie di Religione del Libro?

BILL GATES 26/03/2013 La gente, specie quella che si fa passare per responsabile e consapevole, non ama gli imprenditori, ma di solito tale invidiosa disistima è inversamente proporzionale alla loro ricchezza. Ed è così che il massimo del disprezzo va al «padroncino», mentre quando supera un certo fatturato al ricco imprenditore è concessa la possibilità di diventare fascinoso, se appena appena costui ostenta «idee di progresso». Ed è per questo che molti magnati si danno a una ben pubblicizzata filantropia, sempre politicamente corretta, e in quanto tale spesso meschina e deprimente. Bill Gates, per esempio, ha appena lanciato un bando per l’ideazione e la progettazione di un super-preservativo di nuova generazione, mettendo a disposizione un fondo che potrà arrivare fino ad un milione di dollari. Neanche tanto, verrebbe da dire, se l’ambizione è quella di mettere al sicuro l’umanità dalle malattie sessualmente trasmissibili e dalle gravidanze indesiderate, garantendo nel contempo, al maschio soprattutto, grazie al prodigioso profilattico, un piacere al cento per cento «naturale». Un sogno messianico di natura erotica, direi, uno dei tanti che la «religione civile» produce, e come tale puntualmente destinato al disastro, e più figlio dei capricci dell’ancor ricco Occidente, o di quelli delle nomenklature dei paesi emergenti, che della sollecitudine per le plebi del vasto mondo: la sollecitudine vera, infatti, scalda il cuore.

GIAN CARLO CASELLI 27/03/2013 Povero Bersani, non gliene riesce una. Ha lanciato Grasso alla presidenza del Senato nella speranza che la figura dell’ex procuratore nazionale antimafia gli portasse in dote il plauso della società civile ultra-legalitaria in misura sufficiente a rompere le fila dei neghittosi grillini. Ma i tempi corrono, gli ayatollah del partito della legalità sono stati risucchiati in una spirale rivoluzionaria e si stanno mangiando l’un l’altro, e quindi Grasso, per i più scalmanati almeno, è ormai la quinta colonna del berlusconismo nel campo della sinistra. Che da quelle parti i nervi siano a fior di pelle, lo dimostra anche la reazione del procuratore della repubblica di Torino alle parole dette da Grasso contro una certa giustizia-spettacolo che rovina carriere e discredita la giustizia. Caselli se ne è sentito personalmente ferito, e perciò ha preso carta e penna per chiedere al Csm di «essere adeguatamente tutelato» da quelle che ritiene «accuse e allusioni suggestive». Facciamo così: mettiamo che Caselli abbia ragione, mettiamo che il bersaglio del bieco Grasso fosse proprio lui. Rimane il mistero di questa sua strana suscettibilità a scoppio ritardato nei confronti di quelle «accuse e allusioni suggestive» che da vent’anni sono il marchio di fabbrica di certa garrula magistratura iper-presenzialista e di molte gazzette iper-democratiche.

VIVIANE REDING 28/03/2013 La commissione europea ha appena pubblicato un rapporto sullo stato della giustizia nei 27 stati membri. I dati si riferiscono alla giustizia civile e l’Italia è nella coda del gruppo dove lotta strenuamente per l’ultimo posto in classifica insieme a una piccola manciata di contendenti che stentano ormai a tenere il passo lentissimo del nostro paese. Non sappiamo cosa succederà quando avremo i dati sulla giustizia penale – ammesso e non concesso che le formidabili imprese della nostra giustizia penale possano essere lette attraverso i dati – ma scommetteremmo nondimeno su un’altra strenua lotta. A presentare il rapporto è stata la commissaria europea alla Giustizia Viviane Reding. Qualcuno, uno dei nostri, sicuramente, le ha chiesto se l’inefficienza del sistema giudiziario italiano non dipendesse per caso dagli attacchi dei politici alla magistratura. La commissaria non ha voluto fare fatica. Perciò la risposta a una domanda così cretina è stata una risposta altrettanto cretina: «Giù le mani dai giudici!», ha detto, «Se si vuole che la magistratura sia davvero indipendente, bisogna lasciarla lavorare». In Italia lo abbiamo fatto con fin troppa generosità, tanto che i giudici l’hanno okkupata, la politica: ora abbiamo ex magistrati che fanno i sindaci di grosse città; abbiamo ex magistrati capi di partito; abbiamo appena eletto un ex magistrato alla seconda carica dello stato; abbiamo già un famoso magistrato che ne mette in dub7f631f58


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