Una settimana di “Vergognamoci per lui” (161)

Creato il 18 gennaio 2014 da Zamax

Un giorno di gogna non fa male a nessuno. Come dicono i filosofi più in gamba, è tutta esperienza. Su GIORNALETTISMO.COM

GIORGIO NAPOLITANO 13/01/2014 Alla bella età di novantotto anni è morto Arnoldo Foà. Il Presidente della Repubblica non ha mancato di rendere omaggio al personaggio, evocando «una figura esemplare di artista, di interprete della poesia e del teatro, animato da straordinaria passione civile e capace di trasmettere emozioni e ideali al pubblico più vasto». Non si sa perché, ma da noi a quasi tutti gli artisti, scrittori o intellettuali capita di essere ricordati al momento della loro dipartita da questo mondo soprattutto per loro «straordinaria passione civile». Trovo la cosa straordinariamente spiacevole e assai pericolosa per il buon nome di tanti protagonisti della cultura italiana, in quanto al popolino questa incontrollata retorica celebrativa potrebbe un po’ alla volta suggerire che il caro estinto di turno senza quella «straordinaria passione civile» sarebbe stato in realtà un perfetto buono a nulla; o che i suoi non eccelsi talenti senza un’ostentata «passione civile» non sarebbero stati sufficienti ad aprirgli le porte del successo; o che il suo genio, se non si fosse inchinato a quello stracco conformismo politico che va sotto il nome di «passione civile», sarebbe stato scoperto almeno cent’anni dopo i suoi funerali.

LA CURVA SUD MILANO 14/01/2014 Ci risiamo: questi qui non hanno ancora capito niente. Nel salutare il «vero uomo» Allegri si rammaricano della «totale assenza di un progetto per il futuro e di un mercato minimamente degno di nota …principali cause dei Mali del Milan!» Mi domando cosa serva passare mezze giornate a leggere le gazzette dello sport, a guardare e riguardare le partite, a chiacchierare per ore di moduli, e di giocatori da vendere e comprare, se poi ci si rifiuta di osservare, con sereno distacco, come funziona all’ingrosso il «gioco del calcio». A niente, se non a credere ai miracoli del calciomercato, come capita a tutti quelli che non hanno neanche una mezza idea su quello che sta succedendo. Facciano uno sforzo, si fingano nel pensiero azerbaigiani o paraguayani, e scopriranno subito che il vero problema del calcio italiano non è la sua relativa neo-povertà, non il tasso tecnico dei giocatori, ma la povertà di un gioco sconclusionato, casuale, che i numeretti esoterici delle tattichine e dei moduletti della malora nobilitano agli occhi di tanti gonzi appassionati. Un campionario stupefacente di compagini slegatissime, dominate da un triennio da una squadra appena un po’ più compatta delle altre, che però sbatte spesso contro un muro non appena mette il naso al di là delle Alpi. Per quanto mi riguarda, visto che arriva Seedorf, che grazie al cielo come allenatore è ancora un pivello non ancora guastato dall’esperienza, sarei felicissimo se il Milan riuscisse a giocare come l’Ajax dei ragazzini: con cinque nazionali italiani e il resto della compagnia faremo faville! Dite di no? Tranquilli: in Italia sono i risultati che a posteriori fanno la qualità dei giocatori. E’ anche questo un frutto del vero male del Milan e del calcio italiano: la mistica tediosissima del calciomercato, roba buona per gente senza palle e senza vere ambizioni.

MARCO IMARISIO 15/01/2013 L’inviato del Corriere della Sera è indignato non solo dalle allarmanti e vili minacce di alcune frange violente del movimento No Tav al giornalista della Stampa Massimo Numa e al parlamentare del Pd Stefano Esposito, ma anche dal silenzio omertoso su questi fatti di una certa Torino progressista. La stessa Torino che «è sempre stata fiera della sua tradizione antifascista. Quello che stanno subendo Massimo e Stefano si chiama fascismo.» Bravo! Ma che c’entra il fascismo? E’ comunismo della più bell’acqua, vecchio come il cucco, compresa la firma con falce e martello in calce al filmato spedito qualche giorno fa dagli spioni del giornalista della Stampa alla loro vittima. Ed anche la storia è vecchia come il cucco: la storia di una sinistra che quando si accorge che alcuni suoi figli sono veramente facinorosi di prima categoria, li chiama, per disperazione, poveretta, «fascisti». E perché? Perché è essa stessa, sociologicamente parlando, quell’Italia vecchia come il cucco che nel 2014 sfoggia ancora la retorica resistenziale per la semplice ragione che non ha ancora superato i sensi di colpa per il suo passato fascista. Che pena.

FRANCESCO MERLO 16/01/2014 Che mai ha combinato Franceschiello nostro? Niente, proprio niente. Purtroppo per lui mi è bastato un piccolo assaggio mediatico della Waterloo Hollandiana di questi giorni per riportarmi alla mente, quasi fosse una madeleine proustiana, un suo pezzo del 2007 sul quale ho sempre avuto in animo di sfogare la mia viscida malignità. Era il giorno dell’insediamento di Sarkò all’Eliseo, ma per Franceschiello (lo chiamo così, con volgare e italiota confidenza, apposta per urtarlo) fu soprattutto il giorno di una foto, la foto di “una famiglia plurale che non stupisce la Francia”: «I vescovi di Francia, rosei e sereni monsignori con il fegato sano, ministri di un Dio che è Dio e che dunque non fa l’imbonitore di piazza,» scriveva Merlo su “La Repubblica”, «capiscono bene che in quella foto c’è il presupposto della Grazia. E’ infatti la foto di una bella e grande famiglia benedetta da Dio, di una moderna e riuscita famiglia di famiglie come ce ne sono tante, quella che è finita sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Due sono figli di lei, altri due sono figli di lui, il quinto è il figlio di entrambi, e anche i francesi più pettegoli si imbrogliano con le immagini e non sanno bene chi è il padre di chi e chi la madre di chi, un po’ come, guardando il famoso fumetto, nessuno è in grado di dire chi è Tom e chi è Jerry.» In parte era giustificato: chi non è mai rimasto a bocca aperta davanti all’elegante disinvoltura con la quale i figli dell’Esagono gestiscono i loro casini sessuali e sentimentali? Quale prova migliore del grado di civiltà di un paese? Ma Merlo era addirittura rapito: «La Francia è un paese cattolico ma i vescovi sono sereni, anche loro si accorgono che in quella foto non c’è Feydeau ma c’è Truffaut, ci sono insomma tutta l’Autorità e tutta la Tradizione dell’amore, di una deliziosa storia d’amore a corollario di una stagione politica vincente.» Spero per lui che Hollande non gli abbia rovinato questo bel sogno. Intendiamoci, Hollande si è dimostrato un bel mandrillo, degno di tutti i suoi predecessori, da Valéry Giscard d’Estaing in poi, e nessuno ci avrebbe scommesso un vecchio franco. Disgraziatamente, c’è molto più Feydeau in lui che Truffaut. Speriamo bene. Anche perché in quei giorni François Merlò, parisien come Arrigo Beyle era milanese, coltivava un’ineffabile speranza, nonostante tutto, per il nostro paese: «Ma stiamo cambiando anche noi. Non so quando manderemo al Quirinale una stramba e perciò normale famiglia com’è quella di Sarkozy, con tanto di matrigna bella e buona.» Eppure, se non fosse per la nostra giustizia nord-coreana, quella famiglia ce l’avremmo già! E’ la più stramba del mondo! Tutta insieme farà un figurone! La Perla del Marocco, adottata, darà il tocco decisivo! E Dudù, mi dimenticavo di Dudù!

L’AUTUNNO EGIZIANO 17/01/2014 Sfiancati da tre anni di casini, già stufi dei miracoli della democrazia e dei partiti, neanche metà degli egiziani ha detto sì al referendum sulla nuova Costituzione voluto dal generale Abdel Fatah al-Sisi, vicepremier, ministro della Difesa, capo delle Forze armate egiziane, golpista e prossimo Faraone d’Egitto, mentre il resto è rimasto a casa, chi in preda alla rassegnazione, chi covando vendetta. L’Egitto è tornato ai blocchi di partenza, con i militari al potere, i Fratelli Musulmani sullo sfondo, e le piccole minoranze liberali urbane uscite bastonate dai giochetti rivoluzionari che l’Occidente più salottiero aveva entusiasticamente sostenuto. L’unica vera differenza è l’uomo forte: al posto di quella pasta d’uomo di Mubarak c’è un tipo duro e mezzo esaltato come al-Sisi. Fino allo scoppio della prossima rivoluzione sarà lui il presidente egiziano regolarmente eletto e universalmente riconosciuto: solo allora il Corriere della Sera lo chiamerà «dittatore».


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