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Una settimana di “Vergognamoci per lui” (175)

Creato il 28 aprile 2014 da Zamax

Un giorno di gogna non fa male a nessuno. Come dicono i filosofi più in gamba, è tutta esperienza. Su GIORNALETTISMO.COM

LA CHIRURGIA ESTETICA SUDCOREANA 22/04/2014 Dei problemi d’immagine dei nordcoreani, o meglio, dell’unica signorina nordcoreana che se li possa permettere, Kim Jong-un, sapevamo. Dobbiamo però riconoscere, per amor di giustizia, che anche i confratelli sudcoreani non scherzano. Sembra infatti che i chirurghi estetici sudcoreani siano dei veri e propri maghi. Alla loro maestria ricorrono non solo le compatriote, ma anche le signore e signorine giapponesi e cinesi. E bisogna ammettere che i risultati sono spettacolari, qualunque sia il giudizio propriamente estetico che se ne possa dare. Occhi così ridicolmente a mandorla da essere ridotti a fessure? Zigomi sporgenti come bastioni di fortezze? Volti larghi da contadinotte dei bei tempi antichi? Mascelle volitive come quelle di un macho? Guance troppo paffute o troppo incavate? Menti troppo deboli o troppo pronunciati? I chirurghi sudcoreani non si fermano davanti a nulla: spianano, piallano, levigano, gonfiano, sgonfiano, ingrandiscono, riducono, ridisegnano. Il risultato è assicurato: ne uscirete fuori, care e temerarie signorine asiatiche, con una faccia che non riconoscerete, una faccia da bambolina sexy in 3D, con gli occhi un po’ troppo tondi, ed un viso un po’ troppo a forma di arco acuto rovesciato, di una dolcezza priva di carattere, gracile, da bestiolina remissiva. Per quel che mi riguarda, è un trattamento che perdonerei solo a donne con le quali la natura è stata talmente matrigna da aver avuto la meglio su una commovente fede nella cecità dell’amore e su un’eroica mancanza di suscettibilità: ci vuole una bella faccia tosta anche solo per andare in giro con una faccia da replicante; per farlo poi con la consapevolezza che il modello è unico e senza optional, ci vuole davvero un coraggio leonino.

LA QUESTIONE SHAKESPEARIANA 23/04/2014 Nasceva il 23 aprile di 450 anni fa William Shakespeare. Vogliamo anche noi ricordarlo al nostro modo usuale, cioè vergognandoci per qualcuno o qualcosa. E cosa c’è di più vergognoso nella storia della letteratura della cosiddetta «questione shakespeariana»? Forse solo l’altra grande fregnaccia: «la questione omerica». Date pure a questo punto un calcio nel sedere ai dotti invidiosi. Queste questioni nascono infatti da insana passione, non dallo studio: o meglio, dallo studio asservito all’insana passione. E specificamente quella che agli spiriti meschini al cospetto della più naturale grandezza ha sempre messo in bocca queste fatali parole: «Ma chi è questo? Non è forse il figlio di quel bifolco?» Questo bel tipo sbucato fuori dal nulla – Will – già in vita dovette subire una sorda ostilità, una sorta d’incredulità, alla quale – questo lo dico io, naturalmente, e naturalmente mi basta – rispose indirettamente anche attraverso le opere. Mi spiego. All’inizio dell’“Enrico V” assistiamo ad una conversazione tra l’Arcivescovo di Canterbury e il Vescovo di Ely. Il primo si dilunga sulla repentina trasformazione dello scapestrato principe Harry in un re di meravigliosa saggezza: «è una meraviglia come possa averla raggranellata, data la sua precedente dedizione ad abitudini oziose, fra compagni incolti, villani e superficiali, le sue giornate tutte piene di bagordi, baldoria e sollazzi, senza che mai si notasse in lui alcuno studio, raccoglimento in sé o appartarsi dai pubblici ritrovi frequentati dalla plebe.» Il secondo spiega: «La fragola cresce sotto l’ortica e bacche salutari prosperano e maturano meglio a contatto con frutta di qualità inferiore, e così il principe occulto la sua giudiziosità sotto il velo della sregolatezza; ed essa, senza dubbio, crebbe, come l’erba d’estate, più rapida di notte, non vista eppur rigogliosa per naturale impulso.» Io sono convintissimo che con queste parole Will (lo chiamo così perché dei grandi – ci capiamo – mi sento sempre naturalmente amico) alludesse polemicamente alla sua vicenda personale. Lo sentii «per naturale impulso», la prima volta che le lessi. Ma come fai ad esserne così sicuro? Direte voi. E che ne so? E che m’importa? Anch’io mi sento grande, grandissimo.

SERENA PELLEGRINO 24/04/2014 Ci chiediamo ancora come quell’ingenuo del prefetto di Pordenone potesse pensare di passarla liscia. Ecco il misfatto: aver autorizzato l’esecuzione di “Bella Ciao” durante il corteo cittadino, ma non durante la cerimonia commemorativa ufficiale del 25 aprile, una manifestazione che, come tutti sappiamo, già da sola fa venire il latte alle ginocchia in qualsiasi paesello d’Italia. Pare, d’altra parte, che questa sia sempre stata la prassi a Pordenone, anche senza ingiunzioni prefettizie. Motivi di ordine pubblico, aveva addotto il prefetto, legati a gruppetti di anarchici che da qualche tempo si sono specializzati in azioni di disturbo contro i politici locali in occasione di manifestazioni ufficiali. Come motivazione mi sembra una stupidata: peggio, una vigliaccata. Se avesse detto – in burocratese, s’intende – che “Bella Ciao” è una canzonaccia grossolana, settaria, grondante voltagabbanismo, tutta permeata da quello spirito del branco vanaglorioso che fu fascista; e che per tale plateale mancanza di nobiltà morale ed artistica offende il decoro delle istituzioni e il buon gusto dei cittadini; se avesse detto questo sarebbe stato un cannone di prefetto. Fatto sta, invece, che si è messo in un guaio per dabbenaggine invece che per eroismo. La confraternita rumorosa e potente della società civile ha fatto ovviamente fuoco e fiamme, e il poveretto è tornato sui propri passi. Cosicché adesso, naturalmente, poveri pordenonesi, cantare “Bella Ciao” durante la cerimonia ufficiale diventerà un obbligo. La deputata friulana di Sel Serena Pellegrino ha addirittura proposto al prefetto di redimersi cantando “Bella Ciao” in pubblico proprio il 25 aprile. Mi sembra giusto: chi non canta in compagnia o è un ladro o è una spia. Io non lo farei mai. O meglio, potrei anche farlo: canterei “Bella Ciao” con molto, ma molto sentimento, tra il furore e le lacrime, da vero fanatico, solo per vedere se questi stupidotti capiscono che mi sto divertendo moltissimo.

[RISPOSTA AD UN "INDIGNADO"] “Ora e sempre, resistenza!” ah ah ah… che motto imperioso! Stilisticamente sembra molto fascista, vero? E’ quel tipo di stentoreo trombonismo che mi fa sempre rotolare dal ridere. Proprio del fanatismo totalitario, sia esso fascista, comunista, ed ora, furbescamente, opportunisticamente, patriottico-costituzionale-giacobino: proprio di quelli (io me li ricordo, sa) per i quali qualche decennio perfino la bandiera italica e l’inno nazionale erano sospettabili di cripto-fascismo (per qual motivo crede che ALLORA nessuno OSASSE cantare l’inno? Se non per obbedire ai taciti ordini della Migliore Italia d’allora?) mentre ora l’hanno sequestrata per sbatterla in testa a chi non si piega all’idea – meschinissima e ridicola – dell’Italia nata dalla Resistenza. Piccola gente zelante, erede di quella del Ventennio.


Filed under: Rubrica Giornalettismo Tagged: 25 Aprile, Corea del Sud, Movimento 5 Stelle, Serena Pellegrino, William Shakespeare

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