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Una storia americana

Creato il 07 novembre 2010 da Mcnab75
Una storia americana

La saga di Rocky Balboa profuma di casa: ogni volta che la trasmettono io non apro nemmeno la guida TV e mi riguardo i film. Rocky è cresciuto con me. Li vedevo con mio padre, poi con gli amici, poi da solo. Ora che sono cresciuto un po', mi ritrovo, magari per caso, a vederli ancora con gli amici.

Negli anni '80 i film dello Stallone Italiano mi facevano respirare l'aria buona degli Stati Uniti. Del resto erano stati girati per quello, no? Buona propaganda yankee a effetto garantito. E che effetto! Il mondo che traspariva da quelle pellicole mi sembrava immenso, lontano, ambito, favoloso. Come definire altrimenti un posto dove un pugile non particolarmente bravo riusciva a diventare campione dei pesi massimi? Tra l'altro allenandosi in un merdaio che sembrava proprio uguale a taluni quartieri di Milano di cui a quei tempi si parlava male (Milano, negli anni '80, per me era una città remota come New York: ci andavo una o due volte l'anno, ma ne sentivo di tutti i colori).

E dal lì, via verso il successo: Balboa diventava ricco e famoso, sconfiggeva il Mr T, cattivo che mi ha sempre dato l'idea di rappresentare qualche militante cattivo delle Black Panther, e infine andava addirittura a sfidare la nomenklatura sovietica a casa sua! Insomma, lo Stallone Italiano rivaleggiava con il Superman interpretato da Cristopher Reeve, i cui film tra l'altro venivano trasmessi sulla stessa rete.

 

Negli anni '90 la saga di Rocky si è poi trasformata con trasformarsi del periodo storico. Finita la Guerra Fredda, presa a pugni anche da Balboa nel capitolo più truzzo ed epico di sempre, il pugile interpretato da Stallone appende i guantoni al chiodo, senza più un soldo a causa degli intrallazzi di un amministratore senza scrupoli, e si ritira a una vita fatta di piccole cose quotidiane. Dov'è finito l'American Dream? Mah, chi lo sa. Probabilmente ha dato e avuto quel che serviva, e Balboa non era più utile alla sua causa. Così, dopo aver affrontato dei bestioni come Apollo Creed, Clubber Lang e Ivan Drago, il povero Rocky si ritrova a sciabattare tra ricordi, conseguenze di una vita passate a prendere cazzotti e un allievo che, in buona tradizione cinematografica, lo tradisce per troppa avidità di fama e soldi. È Rocky V, il capitolo più oscuro della saga.


Una storia americana

 

Quando tutto sembrava finito, compresa la capacità di spremere un personaggio che si portava appresso i fantasmi di un'America oramai sorpassata, ecco il progetto di un nuovo film. Molti storcono il naso, le prospettive sembrano essere pessime, si sente odore di muffa. E invece, a sorpresa, Rocky Balboa piace. A me senz'altro, agli altri non so.

Il nostro eroe vive ancora a Filadelfia. La sua situazione economica si è un po' risollevata: gestisce un ristorante insieme a Paulie e vive nei ricordi degli affetti perduti: Apollo, Mickey e infine anche Adriana, la moglie fedele. Il pugilato è il passato. Dopo la pessima esperienza con Tommy Gunn (l'allievo traditore del film precedente) Rocky ha abbandonato ogni velleità di trasformarsi in allenatore di boxe.

Ma qualcosa succede: una sfida lanciata per caso dal giovane pugile Mason Dixon, attuale campione dei pesi massimi, lo convince infine a tornare sul ring a dispetto dell'età antidiluviana. Visto che la Federazione non vuole dargli il permesso di boxare, Balboa si appella addirittura al principio costituzionale che garantisce a tutti la ricerca delle felicità. Ah, il vecchio e sbiadito American Dream! Di nuovo stringe la mano con Rocky, anche se solo per un momento.

Mason Dixon è il lato spietato del Nuovo Occidente: forte, corteggiato dagli sponsor e dai media, personaggio televisivo per eccellenza. Non rappresenta nessun valore se non se stesso e i suoi soldi. Dixon è l'eroe della MTV Generation: quello che ciascuno di noi veri fan dello Stallone Italiano vorrebbe prendere a calci nel culo. Lo scontro finale tra i due si conclude con una vittoria di misura (ai punti) di Dixon, ma è Rocky che raccoglie le vere ovazioni del pubblico. È lui, perdente ancora una volta, a rappresentare un po' tutti noi.

 

Credo che la saga in questione sia una delle poche a trascendere gli scopi originari per cui fu girata. Ossia dapprima come storia americana, poi come propaganda anti-sovietica; l'esalogia di Rocky si è invece tramutata oltre gli intenti di produttori e registi, diventando la storia di un uomo che resiste a tutte le botte che la vita riserva, a chi vuole approfittare della fama improvvisa di ex-poveracci gettati alla ribalta, a chi cerca di manipolare ogni emozione a fini personali. Sono solo io che vedo in tutto ciò un "messaggio" di straordinaria attualità?

Mi piace pensare a un Rocky ucronico, che si ritrova una volta all'anno col vecchio Ivan Drago, a bere vodka in una dacia isolata della Russia. A ricordare i vecchi giorni della gloria, quando “tutto il mondo poteva cambiare”, anche se nessuno aveva detto loro che sarebbe cambiato soprattutto in peggio.

 

Io non immaginavo che la mia vita sarebbe stata così difficile, non doveva essere così, Paulie, no. (cit)
 


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