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Questa follia che mi sta succhiando le batterie da mesi, al netto di definizioni più sofisticate si chiama "scrivere la mia Storia del Rock". In un certo senso scrivere una propria Storia è una autobiografia: è la descrizione del proprio punto di vista, dell'interagire di quella storia con la propria vita - e da quando acquistai il mio primo 45 giri sono cresciuto attorno al rock come un'edera.
Scrivere questa cosa la vivo come una necessità: quella di portare la mia testimonianza di ciò che è successo "per davvero", prima che il rumore di fondo di chi non c'era ne inquini la fonte. È un'idea che ho sempre coltivato, da quando negli anni '80 scrivevo sul Mucchio, e quando negli anni '90 cercavo di scrivere "il Re del R&R", il primo fallito tentativo di dare alla luce questo progetto. Ho naturalmente cercato di riciclare i capitoli scritti allora, con il risultato di riscriverli alla fine per intero. Qualcuno ha detto che non si ha nulla da dire prima dei cinquant'anni: ecco io negli anni '90, cinquanta non li avevo ancora.
Scrivere una "Storia del" è un'impresa ambiziosa fino all'arroganza, un'impresa obiettivamente superiore alle capacità, e di conseguenza anche un po' ridicola. Chi ha scritto una buona Storia? Arrigo Polillo quella del jazz, ma lui era Polillo, oltretutto un giornalista di professione. Transit…
Scrivere una storia è un'impresa impossibile. Nessuno può scrivere tutto, e neanche la metà. Ma mi rispondo: non è un'enciclopedia, non racconto tutto ma solo quello che devo. Bene, ma la vocina ribatte: Tim Buckley non ce l'hai messo. No, non è un'enciclopedia. Nick Drake non ce lo metti? No, non è un'enciclopedia, li ho citati di passaggio in una riga, tanto basta per esserci. Randy Newman non ce lo metti? No, non è un'enciclopedia. Non metti Randy Newman?!? Ma che cavolo di storia del rock è se non ci metti Randy Newman, il cantore di Los Angeles, è come dimenticare l'Oceano Pacifico in un libro di geografia! Ecco, ho reso l'idea del mio calvario?
E Simon & Garfunkel? (No, S&G no!)
Da quando ho incrociato il cammino di Eleonora, che ha già pubblicato negli ultimi anni almeno otto grandi libri ed altri ne sta scrivendo di nuovi ogni giorno, ho messo a fuoco che quello che mi piace davvero fare nella vita è scrivere. Una cattiva idea se non vivi di rendita, e un'idea stancante se lo devi fare durante il sacrossanto e meritato riposo. Ma un uomo deve fare quello che un uomo deve fare. Dopo questo ho altri tre libri "pronti", tre titoli mezzi nel computer e mezzi nella testa, più brevi, agili, meno ambiziosi del loro "grande" fratello. Roba da spiaggia. Tre libri che spingono per uscire e che sono tappati dal travaglio della "titanica" impresa. Tanto che non passa giorno senza che accarezzi la possibilità di aggirare l'ostacolo e posporlo; per poi ogni volta riconoscere che sarebbe barare. Così ritaglio il tempo per scrivere il secondo libro (rock anch'esso) scarabocchiandolo a puntate per la nuova rivista Outsider sulla rubrica che si intitola Blue Motel (che incidentalmente è il titolo del "quarto" libro nonché di un blog che curo da anni).
C'è una cosa che mi spaventa di più di dover arrivare alla fine di questo lavoro. È stamparlo. Perché io & Eleonora abbiamo deciso di non dare più in adozione i nostri scritti ma di auto-gestirne la pubblicazione. Ecco un altro calvario in arrivo: e se non lo compra nessuno? E se non piace? Se non me lo recensiscono neanche? Se lo recensiscono male? (Il contrappasso di un recensore…)
La parte buona di dare alla luce il libro è che esisteranno delle pagine dove sono scritte, nero su bianco, le cose che penso. Vuoi mettere quando mi chiederanno: cosa ne pensi di Warren Zevon? Io alzerò il sopraccilio e lascerò cadere: l'ho scritto su… E dei Queen, cosa ne pensi dei Queen? L'ho scritto su… No, che non c'è neanche una parola sui Queen. Appunto.
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