Una storia parigina – I

Da Italianiaparigi

Orme sulla neve

Cari lettori di Italiani a Parigi,

Le pagine virtuali di questo blog accoglieranno, a partire da oggi, un racconto scritto dal sottoscritto.
Il mini-romanzo è ambientato a Parigi e sarà pubblicato a puntate alla maniera dei Feuilleton del XIX secolo.
Ogni cinque giorni pubblicherò un nuovo episodio. In totale saranno dodici.
Affido a voi, se avete tempo e voglia, il compito di scegliere il titolo di ogni capitolo.
Alla fine di ogni episodio inserirò un commento con la mia proposta di titolo e aspetterò che voi, cari lettori, proponiate le vostre. La proposta più originale e adatta sarà selezionata.
Dopo la lettura dell’epilogo della storia, ovvero del XII capitolo, lo stesso procedimento permetterà di scegliere il titolo dell’intera storia. Una storia parigina è solamente un’etichetta provvisoria in attesa che scegliate voi stessi il titolo del racconto.
Vi chiedo, infine, di esprimere un piccolo parere dopo ogni episodio o semplicemente alla fine dell’intero racconto. Mi basta anche un “mi piace” o “non piace” alla maniera dei social network.
I vostri commenti mi consentiranno di capire se la pubblicazione è stata di vostro gradimento e se l’esperienza merita di essere ripetuta.
Vi lascio al primo episodio.

Buona lettura.
Gaspare

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La neve cadeva soffice quella domenica mattina di gennaio sfiorando delicatamente i comignoli di terracotta. Minuscoli fiocchi candidi si depositavano sui tetti parigini e avvolgevano la città in una surreale atmosfera di calma.
Un insolito silenzio dominava le avenues e i boulevards della capitale francese. Il suono delle campane domenicali, il gracchiare lontano di stormi di corvi inquieti e i sospiri di stupore di bambini estasiati interrompevano casualmente la nivea serenità.
Parigi si svegliava indossando una magnifica veste bianca. I suoi abitanti, affascinati dal candore inaspettato, si fermavano ad ammirare la bellezza di una metamorfosi mozzafiato che aveva cambiato radicalmente l’aspetto di ogni quartiere.
Le cupole innevate del Sacro Cuore rilucevano in contrasto con il cielo plumbeo e minaccioso. Le statue dei giardini delle Tuileries, imbiancate da una fitta coltre di neve, fissavano i viali deserti ricoperti da un manto candido.
Piccoli cristalli di ghiaccio scendevano giù dal cielo, si ramificavano, si univano tra loro creando forme geometriche irregolari che s’inseguivano e si depositavano discretamente sull’erba dei prati e sulle acque della Senna.
Intorpidita dai sogni notturni, la città si risvegliava lentamente. Qualche sporadico raggio di sole illuminava le facciate dei palazzi ancora avvolte dall’ombra. I lavoratori della domenica eseguivano con precisione e puntualità i rituali mattutini: fare colazione, radersi, lavarsi i denti, scegliere una camicia, seguire il telegiornale, prendere la metro.

Spalancando la piccola finestra del suo monolocale nel cuore del Marais, Simone non aveva resistito allo spettacolo che si dispiegava davanti al suo sguardo meravigliato.
Eccitato dall’inattesa nevicata, aveva indossato guanti e sciarpa e si era precipitato fuori dal suo piccolo appartamento situato nella rue du Roi de Sicile.
Il destino aveva voluto che il giovane catanese giunto a Parigi in cerca di fortuna, trovasse un alloggio proprio nella via dedicata all’antico re della sua sorridente isola.
Aveva attraversato la rue de Rivoli contemplando il magnifico paesaggio e, in preda all’entusiasmo, era arrivato all’Hotel de Ville.
Il monumentale municipio avvolto da un sottile velo di neve aveva un fascino particolare e meritava una sosta contemplativa.
Osservando le statue e gli elementi decorativi che abbellivano l’edificio, Simone aveva sentito un chiaro gorgoglio proveniente dallo stomaco ancora a digiuno.
Il bistrot Marguerite, situato all’angolo tra la Place de l’hotel de Ville e il quai de Gesvres,
era il luogo ideale per placare le richieste golose della sua pancia vuota.
Seduto al tavolo del bistrot, Simone aveva fatto segno al cameriere per ordinare.
- Un pain au chocolat e un caffé ristretto, per favore
- Desidera altro?
- No. E’ tutto per il momento.
Il cameriere aveva accennato un sorriso forzato e si era allontanato in direzione di un altro cliente.
Dal suo tavolo vicino alla finestra, il ragazzo osservava il maestoso palazzo municipale.
Pensieri e preoccupazioni si aggrovigliavano nella sua mente in un disarmonico caos e lo tormentavano già da parecchi mesi.
Camminare senza metà per le vie della città era una delle poche attività che gli permettevano di razionalizzare le paure e di placare il suo animo tormentato.
- Ecco la colazione, disse seccamente il cameriere.
- Grazie! rispose Simone osservando la tazza traboccante di caffé.
Da quando abitava a Parigi non era ancora riuscito a trovare un bistrot capace di servire un caffé bevibile.
Constatando che il ragazzo non andava via, Simone chiese se tutto andasse bene.
- Veramente dovrei incassare adesso se non le dispiace.
- Nessun problema. Rispose mettendo le mani in tasca.
Il giovane assaporava il delizioso pain au chocolat che si forzava di accompagnare con un caffé annacquato e senza aroma, e osservava le torri della vicina cattedrale di Notre Dame.
Il suo spirito irrequieto lo portava spesso a girovagare ai piedi dell’enorme tempio gotico e, anche questa volta, sentiva il bisogno di passare qualche ora nell’Ile de la Cité.
- Au revoir.
Disse distrattamente e si catapultò fuori dal locale.
Tornato all’aria aperta, attraversò il Pont d’Arcole e continuando per un centinaio di metri si trovò ai piedi della cattedrale.
L’affluenza di turisti e di fedeli, sicuramente a causa dell’abbondante nevicata, era assai ridotta rispetto al solito.
Rimase un paio di minuti a guardare i dettagli della facciata di Notre Dame soffermandosi su alcuni elementi: la statua di Saint Denis con la testa in mano, i gargoyles di pietra che sembrano pronti a prendere vita da un momento all’altro, le imponenti torri, il massiccio portone decorato, il maestoso rosone centrale, le colonnine finemente levigate.
Nè la facciata della cattedrale, nè l’interno della chiesa, potevano calmare i suoi tumulti interiori.
La meta di quella peregrinazione mattutina era più lontana, alla fine del Petit Pont.
Scendendo una ventina di gradini in pietra, si raggiunge il lungo-Senna e si può osservare da vicino il perpetuo movimento dei flutti.
Simone passeggiava spesso lungo le sponde accarezzate dal fiume e affidava alla Senna le sue angosce e le sue speranze. Lei sapeva ascoltarlo.

Immerso in un vortice di pensieri, il giovane siciliano avanzava sulle banchine lasciando dietro di se una lunga scia di impronte sulla neve fresca.
Erano passati oramai dieci anni da quando aveva lasciato la Sicilia natale per iniziare l’avventura parigina.
Simone era rimasto affascinato dalla cultura e dalla letteratura francese durante gli anni del liceo.
Sfogliando i romanzi di Zola e le poesie di Rimbaud, aveva iniziato a sentire una voce lontana e irresistibile che lo invitava a seguire l’istinto e a lasciarsi andare.
Il suono di quella voce si era fatto più forte e insistente durante gli anni universitari in virtù degli studi umanistici e letterari che avevano rafforzato la sua visione ideale della Francia.
Terminati gli studi, aveva rivolto uno sguardo malinconico al cratere fumante dell’Etna e aveva deciso di trasferirsi a Parigi.
Dieci anni intensi, vissuti con passione, avevano forgiato il suo carattere, levigato le sfumature della sua personalità e lo avevano reso una persona diversa da quella che aveva vissuto all’ombra del vulcano.
Amori tumultuosi, amicizie discontinue e missioni lavorative appassionanti avevano costellato questo lungo periodo e adesso, a Parigi, si sentiva a casa.
Da più di un anno, però, la solitudine era diventata la sua sola compagna.
Dopo la fine della sua ultima relazione si era ritrovato da solo e la perdita del lavoro aveva amplificato il senso di alienazione che lo attanagliava.
Il potere di seduzione che la ville lumière aveva esercitato su di lui aveva perso parte della sua magia, l’entusiasmo iniziale era scemato con il passare del tempo e la voglia di mollare tutto e tornare a Catania era tanta.
Il richiamo che lo aveva portato a lasciare gli affetti siciliani era diventano una flebile vocina. Il suo ferreo ottimismo e la fiducia nel futuro erano le uniche armi di cui disponeva e che gli consentivano di non abbandonare Parigi.
Che cosa avrebbe fatto dopo avere speso anche gli ultimi risparmi rimasti? A chi avrebbe chiesto aiuto? Come abbandonare quella città che aveva imprigionato la sua anima?
Perché a dispetto del suo amore e del legame profondo per la sua Sicilia natale, Simone aveva affondato largamente le radici nella sua città d’adozione. Il suo era uno stato d’animo particolare, quello di chi vive sospeso tra due paesi, confinato in un limbo di emozioni e speranze, costretto alla nostalgia e condannato alla malinconia, una struggente dicotomia dello spirito che si dibatte tra presente e passato, ricordi e realtà.
Questi erano i pensieri che si affollavano nella sua mente, lo tormentavano, e turbavano la sua tranquillità.
L’angusta sensazione di oppressione che faceva da sottofondo a quella passeggiata domenicale scomparve improvvisamente per lasciare spazio a un barlume di speranza.



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