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Giuseppe Conti, Firenze – Le feste di San Giovanni -3

Da Paolorossi

Passando ora a parlare delle feste di San Giovanni nel secolo decimonono, che può dirsi la terza epoca, si vedrà quanto differenti fossero, e come ci si avviasse a lasciarle cadere in disuso.

Otto giorni prima venivano annunziate le feste per mezzo del famoso carro detto Brindellone, tirato da due cavalli montati da un postiglione in costume, preceduto da un trombetto municipale e da un donzello pure a cavallo, vestito tutto di nero, con la lucerna, che bandiva al popolo la festa, fermandosi a tutti i canti a leggere il foglio, contenente la formula dell'annunzio per i quattro quartieri della città. [...]

Le girate che faceva Brindellone per la città davan luogo sempre a qualche burletta, a causa del tentennar della statua che pareva facesse tante riverenze: ma la più amena era quella alle calate dei ponti, poiché il carro non avendo la martinicca, coloro che eran sopra buttavano una fune lunga otto o dieci braccia; e i ragazzi che lo sapevano ed aspettavan quel momento per far baccano, vi si attaccavano urlando e schiamazzando, tenendo in tirare più che potevano la fune. Il carro scendeva benone, ma quegli screanzati seguitavano a tirare anche quando non ce n'era più bisogno. Gli uomini di sul carro, che conoscevano i loro polli, se ne ritenevan sempre qualche braccio, per lasciarla andar tutta a un tratto quando i ragazzi non volevano smettere di tirare: ed allora era una risata generale, vedendoli andare a gambe all'aria quando meno se l'aspettavano. [...]

Ed ora, veniamo alle feste principiando dalla vigilia, quando si faceva la processione detta "de' sette baldacchini," che si partiva da Santa Maria del Fiore, per fare il giro dei Quartieri, e arrivava fino a Santo Spirito. Sotto il primo baldacchino veniva portata dall'arciprete di Duomo la testa d'argento di San Zanobi, sotto il secondo la Santa Croce, e via dicendo, una reliquia sotto ciascun baldacchino. A quella processione prendevan parte, oltre il clero e i canonici di Duomo, anco i cappuccini, i frati di Santa Croce, del Carmine, di Santa Trinita ed i parroci di tutte le chiese della città.

Le strade erano affollatissime di contadini e di terrazzani, che a forza di gomitate e di spinte si facevan largo per veder meglio, pestando la gente, senza curarsi d'esser trattati male purché raggiungessero lo scopo. Ecco perché quando capitava la circostanza, i fiorentini si ricattavano, facendo loro mille dispetti e dileggiando e mettendo in ridicolo que' marrani più duri de' sassi.

Ma alla processione de' baldacchini non era nulla, in confronto delle torme di contadini maschi e femmine, che seguitavano a piovere a Firenze nel resto della giornata per assistere al palio de' cocchi, che poi non vedevan mai, ed ai fuochi. [...]

Prima dei cocchi, alle quattro cominciava il corso delle carrozze sulla Piazza di Santa Maria Novella, che girava attorno ai palchi eretti a guisa d'anfiteatro per il palio. Verso le ventitré - ossia le sette - i dragoni scioglievano il corso e sgombravan la piazza mettendo fuori tutti quei branchi di contadini che erano stati al sole per cinque o sei ore, onde prendere il miglior posto. Ma costoro si adattavano anche a star di fuori intorno all'anfiteatro, contentandosi di sentire gli urli, gli applausi o i fischi. I fìorentini però, che sapevan l'uso, quando venivan nella piazza i dragoni, si tiravan dietro il canapo che veniva tirato dopo lo steccato, formante il circolo nel quale dovevan correre le bighe; e se qualcuno di quei contadini tentava, con le solite spinte e urtoni, di entrare dietro il canapo, lo mandavan via subito intimandogli che bisognava pagare; e che scappasse lesto se no i birri l'arrestavano. Ma non c'era bisogno di minaccie; bastava quella di dover pagare, alla quale un contadino non è mai sordo! Il Granduca con tutta la Corte ed il seguito, con treno di gala preceduto da due battistrada, scortato da otto guardie nobili e due cavallerizzi "di sportello," arrivava un po' prima della corsa; e trattandosi di uno spettacolo quasi equestre, si vestiva da colonnello di cavalleria austriaca, con l'uniforme bianca a faldine gallonata d'oro alla pistagna e alle maniche; pantaloni a coscia, stivaloni alla scudiera e l'elmo con la cresta dorata e con tanto di patacca con l'aquila a due teste sullo zuccotto. Lui credeva di fare un certo effetto: ma quell'elmo benedetto, portato all'indietro, lo rovinava. Sarebbe stato meglio vestito da frate!

Le persone di servizio dei Sovrani, con biglietto del maestro della Real Casa, andavano a godere il palio nel palco di Corte, lasciando libero lo spazio riservato ai paggi ed ai loro precettori. Le cameriste e persone non nobili, munite dello stesso biglietto, andavan sulla terrazza del magazzino dei foraggi e alle tre finestre della casa Puliti. Gli altri uffiziali e serventi, nel palco della Comunità.

L'onore maggiore però, in seguito, era fatto all'architetto Baccani, poiché il Granduca ogni anno lo faceva avvertire che avrebbe mandato in casa sua, per veder la corsa, i piccoli Arciduchi, non tanto perché il palazzetto Baccani rimaneva nel più bel punto della piazza, quanto perché di lì la Granduchessa ed il Granduca li vedevano benissimo dal loro palco dinanzi alla loggia di San Paolino.

Prima della corsa, nel palco dei Sovrani "si servivano abbondanti rinfreschi," quindi si dava il segnale che si cominciasse. L'aspettativa era sempre grandissima; l'effetto dell'anfiteatro stupendo: quelle migliaia di persone pigiate nei palchi, la folla allineata dietro il canapo, le finestre delle case e le terrazze gremite, la gente sui tetti che si arrischiava fin quasi in cima, pur di veder la corsa, col pericolo di fare un volo e venir sulla piazza a rompersi l'osso del collo, era addirittura imponente.

La corsa, dopo tante aspettative, mosse false, scappate anticipate di qualche biga, o non avvenute di un'altra, finalmente cominciava. Non si sentiva un alito. I cocchieri, vestiti alla romana, per essere in carattere colle bighe, uno bianco, uno rosso, uno giallo e uno verde, stavan pronti al cenno per darsi alla carriera: il momento era solenne sul serio; e straordinariamente bella la corsa, quando non nascevano inconvenienti. Appena quei quattro carri si lanciavano a briglia sciolta per il circo, del quale dovevan far tre giri, la gara cominciava subito accanitissima, almeno in apparenza, perché eran tutt' e quattro d'accordo; e la cosiddetta camiciuola era dissimulata magnificamente. In certi momenti nei quali le quattro bighe formavan quasi tutt'un gruppo, specialmente alla piegata per guadagnar terreno, pareva che dovesse andare in pezzi ogni cosa. Ed invece, dal nuvolo di polvere che movevano, e da cui erano avvolte come in un nimbo, usciva la biga vittoriosa. Allora un fragore d'applausi, uno scroscio d'urli, d'evviva, accoglieva il vincitore che figurava d'esser commosso anche più del dovere, perché lo sapeva fin dalla mattina.

Dopo il palio dei cocchi, l'anfiteatro e la piazza si vuotavano, e tutta la folla si riversava in Lungarno per assistere ai famosi fuochi tanto agognati, tanto desiderati.

( Giuseppe Conti, tratto da "Firenze vecchia - Storia, cronaca anedottica, costumi (1799-1859)" , 1899 )

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