Una strana malattia emergente anche in età pediatrica: l’esofagite eosinofila

Creato il 27 agosto 2014 da Antonioriccipv @antonioricci

L’esofagite eosinofila è malattia emergente (la prima diagnosi è stata effettuata nel  1977) che ha avuto un rapido sviluppo negli ultimi 20 anni probabilmente per gli studi più approfonditi e mirati.

La malattia può  interessare ogni fascia di età, da quella pediatrica a quella adulta. In particolare si riconosce un picco fra i 6 e gli 8 anni e, nell’età adulta, intorno alla terza-quarta decade di vita.

E’ più frequente nel sesso maschile (75%).

Colpisce l’esofago; il canale che collega la cavità orale con lo stomaco.

E’ caratterizzata da un denso infiltrato di cellule eosinofile a livello della parete dell’ esofagea che comporta, se non trattata,  un inspessimento della parete con riduzione del lume e  conseguente difficoltà al passaggio del bolo alimentare.

Il sintomo predominante è quindi la disfagia (difficoltà a deglutire – presente nel 90% dei soggetti), ma in alcuni casi si può arrivare  al completo blocco del bolo alimentare con necessità di rivolgersi d’urgenza al pronto soccorso.

Molti di questi pazienti presentano un reflusso gastroesofageo e ciò complica o ritarda a volte notevolmente la diagnosi. Elemento caratteristico, però, è la persistenza della sintomatologia (disfagia) anche dopo ripetuti cicli di terapia con antisecretivi. In questi pazienti l’esame endoscopico (gastroscopia) è dirimente in quanto può mettere in evidenza alcuni aspetti tipici della malattia che aiutano l’operatore ad un immediato sospetto diagnostico.

L’aspetto endoscopico tipico è dato dalla cosidetta “felinizzazione” della mucosa, ossia dalla presenza di sottili e continui anelli che fanno assomigliare l’esofago a quello del gatto. Altre volte, invece, tali anelli sono più grossi per cui si parla di “tracheizzazione” dell’esofago. E’ possibile inoltre  riscontrare  noduli, papule, essudato biancastro o anche delle “fissurazioni” dovute alla fragilità della mucosa esofagea. Il quadro endoscopico descritto è molto indicativo della malattia, ma nel 30% dei casi si osserva un quadro di normalità.

Ecco quindi l’importanza del sospetto clinico della malattia che deve  indirizzare l’endoscopista ad eseguire, anche in presenza di una mucosa del tutto normale, dei prelievi biotici che potranno dimostrare gli aspetti patologici dell’EE: infiltrato eosinofilo con un densità di almeno 15 eosinofili intraepiteliali per campo ad alto ingrandimento (400x).

Considerando che un infiltrato eosinofilo, anche se non così rilevante, lo si può riscontrare al terzo inferiore dell’esofago di pazienti con malattia da reflusso gastroesofageo ed in altre condizioni patologiche (gastroenterite eosinofila, m di Crohn, esofagite da farmaci, malattie del connettivo, malattie infettive, ecc.), è importante che i prelievi vengano effettuati sia nell’esofago prossimale che distale (almeno 4 biopsie per sede) ed  eventualmente anche a livello dello stomaco e del duodeno quando ci sono elementi clinici per sospettare una gastroenterite eosinofila o un morbo di Crohn.

Alcuni autori,  in presenza  di un’importante disfagia,  suggeriscono un preliminare studio radiologico dell’esofago che può rilevare un restringimento del lume o presenza di anelli (foto 5) o  un di rallentato svuotamento del viscere. L’indagine radiologia è utile per segnalare all’endoscopista le eventuali anomalie senza così correre il rischio di lacerare l’esofago (per rottura inavvertita degli anelli) o, nella peggiore dei casi, di perforare l’esofago. Tali complicanze sono da tenere in considerazione per la fragilità dell’esofago soprattutto quando l’infiltrato eosinofilo si estende a tutta la parete.

L’iter diagnostico deve essere completato con una valutazione allergologica globale. Infatti circa i 2/3 dei pazienti con esofagite eosinofila presentano allergie stagionali e/o alimentari e, se mentre nell’adulto  l’allergia alimentare può rappresentare un occasionale momento patogenetico, nel bambino  invece riveste un ruolo fondamentale.

In definitiva, la diagnosi di questa malattia non è semplice e deve tenere conto degli aspetti clinici ed endoscopici. Il sospetto concreto deve venire quanto si è di fronte ad un paziente giovane con lunga storia di disturbi esofagei di tipo disfagico. La conferma definitiva viene però dall’endoscopia e soprattutto dalle biopsie che dovranno dimostrare un denso infiltrato eosinofilo lungo la mucosa esofagea.

Il trattamento dell’esofagite eosinofila è controverso e molto complesso. Ciò deriva dal fatto che si tratta di una patologia emergente (soprattutto nell’adulto) e per il fatto che ci sono ancora pochi lavori, soprattutto sulla terapia a lungo termine. Nel complesso la terapia comprende interventi dietetici, terapia farmacologici e dilatazioni perendoscopiche.

Interventi dietetici. Una volta identificati gli allergeni alimentari, il trattamento alimentare, con una dieta ad eliminazione o, se necessario, con una dieta elementare (con apporto dietetico costituito da aminoacidi liberi), consente di ottenere alte percentuali di remissione clinica ed istologica (emissione dell’infiltrato istologico esofageo). L’intervento dietetico costituisce il cardine della terapia dell’esofagite eosinofila in età pediatrica dove è maggiore la responsabilità degli allergeni alimentari nella patogenesi della malattia.

Terapia farmacologica. La terapia cortisonica per via sistemica (prednisone e metilprednisolone) è stata la prima terapia utilizzata per l’EE. Le esperienze in letteratura sono riferite all’età pediatrica mentre mancano lavori sull’adulto. A causa degli importanti effetti collaterali  e delle recidive alla sospensione del trattamento, tale terapia è riservata a casi selezionati (grave disfagia, rischio di perforazione alla dilatazione esofagea, insuccesso delle altre terapia) e per brevi periodi. La terapia steroidea per via inalatoria è, invece, quella preferita sia nell’adulto che nel bambino, sia per l’elevata efficacia  e sia per la sua sicurezza. Il farmaco più utilizzato è il fluticasone propinato  spray (220 mg, 2 puff  mattino e sera) per 4-6 settimane e il principale effetto collaterale è rappresentato dalla candidosi esofagea (15% dei casi). Purtroppo la recidiva, alla sospensione del trattamento, è molto frequente e non ci sono dati sufficienti sull’impiego cronico di tale terapia.

Dilatazioni endoscopiche. L’infiammazione cronica  porta nel tempo ad una fibrosi della parete dell’esofago con un irrigidimento e formazione di restringimenti di tipo anulare. Su piano clinico l’alterazione anatomica comporta una sintomatologia a volte importante che può andare dalla disfagia all’ostruzione del bolo alimentare.

Il trattamento consiste in cicli di dilatazioni endoscopiche (dilatatori a palloncino o sonde semirigide di Savary). La terapia endoscopica non è esente da rischi (fessurazioni, perforazioni) in quanto l’esofago, a causa dell’infiltrato eosinofilo, presenta una parete particolarmente fragile. Le dilatazioni, pertanto, devono essere graduali,  eseguite con estrema cautela e, soprattutto, da personale esperto nel settore. Alcuni autori, per ridurre il rischio di complicanze, suggeriscono di posticipare le dilatazioni a seguito il trattamento medico (in modo da ridurre la fragilità della parete esofagea).



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