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Una superficie sottile

Creato il 22 marzo 2012 da Ivnc @elisabarindelli

Ero in treno, mancava qualche fermata.

Ho sempre amato guardar fuori dal finestrino, ma non il paesaggio. A me piacciono più che altro i riflessi della luce sul paesaggio.

Sai quella zona indefinita tra dentro e fuori, in cui si confonde quel che scorre accanto ai binari con quel che accade nel vagone, l’immobilità di chi siede viaggiando e la velocità di ciò che sta fermo mentre passiamo, il buio del cielo e le luci artificiali delle gallerie.
Quel punto dove non guardi nè dentro nè fuori, quel punto in cui lentamente ti lasci scivolare, un po’ dentro e un po’ fuori, e diventi il riflesso che sta proprio a metà, il paesaggio ed il viaggiatore, più che altro un’idea, un concetto, difficile da spiegare ma così naturale da lasciar succedere, che per un po’ non esisti in una forma precisa.

E’ una superficie sottile, molti non la percepiscono ma che per me è importante. E’ una zona di confine, e come tutti i confini mi affascina.

Ci vedo proiettati i miei pensieri a volte, a volte i ricordi, ma la maggior parte del tempo non ci vedo niente. E’ qualcosa di simile al momento in cui stai per dormire, quello in cui senti l’esterno ma sei già immerso nell’attività dell’inconscio, una frazione magica che ho sempre amato, che non sta nel sonno e non sta nella veglia. Un’altalena tra qui e ovunque, un dondolio dolce che ti culla al buio, ti tiene la mano.

E’ qualcosa che non c’è, e proprio perchè non c’è ti lascia lo spazio di non esserci a tua volta, di fonderti, di scioglierti. E’ una superficie che ti accoglie dove non ha senso fare domande e non servono le risposte, dove tutto è evidente e va bene così, anche se prima ti pareva di no.

Ero in treno, mancava qualche fermata.
Diventavo un riflesso e di colpo mi sono sentita come non mi era mai successo.
Non c’è stato bisogno di pensare niente, era tutto già lì, lì dove non c’era niente.



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