Si chiama Gaia14aaa la prima esplosione di supernova rilevata dalla sonda omonima (GAIA sta per Global Astrometric Interferometer for Astrophysics) dell’Agenzia spaziale europea. Prima di una lunga serie, come tutte quelle ‘a’ lasciano giustamente sperare: pur progettata primariamente per prendere le misure alle stelle della Via Lattea, Gaia ha infatti tutte le carte in regola per fare incetta di supernove e altri sorgenti variabili ovunque nell’universo. Questo grazie alla sensibilità dei suoi strumenti, certo, ma anche alla sua particolare strategia osservativa, ovvero al modo in cui scandaglia il cielo: passando e ripassando più volte sulle regioni già perlustrate, al punto che ognuna del miliardo di stelle presenti nella sua lista – da spuntare una a una nell’arco dei prossimi cinque anni – verrà visitata in media 70 volte.
Ed è proprio a seguito d’una “seconda visita”, avvenuta il 30 agosto scorso, che Gaia s’è accorta dell’anomalia – un “transiente”, nel gergo degli astronomi – che sta ora entusiasmando lo Science Alert Team della missione e tutti gli altri scienziati coinvolti, molti dei quali italiani. Gaia, lanciata dalla base europea di Kourou il 19 dicembre del 2013, era entrata in piena attività il 25 luglio scorso. Ecco dunque che il 30 agosto, a poco più d’un mese dall’inizio dei lavori, posando lo sguardo su una galassia già osservata il 31 luglio ha rilevato un picco di luce del quale al primo passaggio non v’era traccia.
Un picco ragguardevole: la magnitudine era balzata, in poche settimane, da poco più di 19 a poco più di 17 (la luminosità di una sorgente celeste è tanto maggiore quanto più è bassa la sua magnitudine). La speranza di tutti gli scienziati della missione era che si trattasse proprio di una supernova. Ma gli eventi cosmici in grado di dare luogo a fenomeni di variabilità così intensi sono numerosi: per esempio, avrebbe potuto trattarsi dell’outburst (un’impennata nell’emissione energetica) d’un buco nero.
Per identificare al di là d’ogni dubbio il responsabile del picco luminoso s’è dunque reso necessario un controllo incrociato. Controllo fornito in parte da Gaia stessa, in particolare dal suo spettrometro di bordo, e in parte da osservazioni successive con telescopi terrestri. In entrambi i casi la “firma chimica” della sorgente mostrava i tratti caratteristici d’una supernova: presenza di ferro, per esempio, e intensità luminosa significativamente maggiore nella porzione blu dello spettro rispetto alla rossa. E non una supernova qualsiasi, ma probabilmente una supernova di tipo Ia – quelle prodotte a seguito del collasso d’una nana bianca in un sistema binario, protagoniste dei tre premi Nobel per la fisica del 2011 in quanto “fari standard” per la misura delle distanze cosmiche.
Quanto alle osservazioni incrociate da terra, in questo caso la conferma è giunta da due telescopi inglesi situati sull’Isola di La Palma alle Canarie, l’Isaac Newton Telescope e il Liverpool Telescope, ma della rete di telescopi europei che si è incaricata di studiare gli oggetti transienti scoperti da Gaia fanno parte anche gli Osservatori INAF di Padova, Napoli, Bologna, Catania e Teramo. Ma cosa sono questi oggetti transienti? «Si tratta di oggetti caratterizzati da una rapida variabilità, come supernove, nove, eventi di microlensing e gamma ray bursts, solo per citarne alcuni», spiega una dei due responsabili europei del consorzio che processa e analizza i dati di Gaia, Antonella Vallenari, astronoma all’INAF di Padova. «In questa fase iniziale di test, le osservazioni da terra sono fondamentali per verificare le scoperte e la qualità dei dati».
Scoperte che, se tutto va come questo promettente esordio lascia sperare, dovrebbero arrivare al ritmo impressionate di tre nuove supernove al giorno: per quanto eventi rarissimi (in una galassia se ne registrano in media due ogni secolo), infatti, spaziando con lo sguardo su cento miliardi di galassie Gaia non rischia certo di far annoiare gli scienziati della missione.
«Questa prima scoperta di Gaia arriva dopo pochi mesi di dati, ed è il risultato di un complesso processo di analisi che coinvolge i team astrometrici e fotometrici della missione, dei quali i ricercatori italiani (il cui contributo è coordinato da Mario Lattanzi dell’INAF di Torino) fanno parte. Un successo per l’intero consorzio Gaia, questo risultato conferma l’eccellente qualità dei dati e l’enorme potenziale scientifico della missione. Gaia infatti studierà non solo le stelle della nostra Via Lattea», sottolinea Vallenari, «ma vedrà anche le stelle più brillanti delle galassie vicine, come le Nubi di Magellano, Andromeda e le galassie del Gruppo Locale di cui facciamo parte. Si spingerà oltre i confini del Gruppo Locale scoprendo supernove fino a distanze di circa 500 milioni di parsec, dando un significativo contributo alla scoperta e allo studio di questi oggetti».
«Le supernove, e in particolare le supernove di tipo Ia, sono state la prova che l’espansione dell’Universo è accelerata», ricorda Vallenari, «e restano tra gli oggetti più significativi per studiare la materia oscura. Gaia sta mantenendo la promessa di essere una fra le missioni scientifiche che rivoluzioneranno la nostra comprensione della Via Lattea, delle galassie in generale e dell’Universo».
Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina