Magazine Famiglia
In paziente attesa davanti alla cassiera del supermercato ho notato una scena divertente. Una donna si rigirava tra le mani una teca di plastica, all’interno della quale faceva bella mostra una scatola di tonno. Sorrido e chiedo alla cassiera che cosa avesse di tanto prezioso quella scatola di tonno. “Nulla – mi ha risposto -. Solo che è l’articolo più rubato nei supermercati. Circa 100mila euro all’anno. Solo nella nostra catena”. Incuriosito chiedo il perchè: è facile da far passare alla cassa in quanto tascabile. I protagonisti di questi furti non sono ineffabili rom o furfanti immigrati. Sono pensionati o padri e madri di famiglia che non riescono ad arrivare a fine mese. I nuovi poveri.
I poveri io li vedo quando il mercato sta chiudendo e si fanno avanti per trovare qualcosa di buono tra i rifiuti dei banchi di frutta e verdura. Li riconosco quando si aggirano con circospezione davanti alla parrocchia il giorno della distribuzione dei pacchi con dentro gli alimentari. Li guardo negli occhi quando alla cassa del supermercato lasciano alla commessa la scatola di tonno o una busta di detersivo perché hanno fatto male i conti.
Loro, i poveri, si sono accorti del rincaro della vita ben prima dei giornali e degli enti statistici perché fanno la spesa con un borsellino pieno di monete da venti, dieci, cinque, due centesimi, e contano ciò che pagano e il loro resto centesimo per centesimo. All'aumento del pane, per esempio, hanno reagito nell'unico modo che gli è dato: ne hanno comprato un po' meno.
Poi ci sono tutti gli altri, quelli che gli spiccioli non sanno mai dove ficcarseli, che buttano l'occhio sul cartellino del prezzo ogni tanto, e che non ricordano bene quanto hanno pagato ieri il filoncino. Questi altri, i non poveri, si sobbarcano come spese essenziali un 50 euro di cellulare e un 150 di benzina mensili, un paio di centoni a stagione per l'abbigliamento; e poi un paio di pizze e una gita. Ciò che ci appare ragionevolmente il minimo per una vita decente. In mezzo a tutti gli altri ci sono i ricchi e i ricconi, e questi sono un'altra storia e un altro mondo.
Per quelli come noi, per tutti gli altri "normali", non poveri e non ricchi, il pane dovrebbe costare almeno cinque volte il prezzo attuale. Almeno in un mondo dove il prezzo delle cose fosse basato sul "giusto" prezzo. Dipendesse da me applicherei un'imposta tremenda sul pane, esenti solo i poveri. E sarebbe una tassa di inaudita bellezza. Perché oggi il pane costa così poco che ne possiamo comprare quanto ce ne pare e piace.
Il pane dei non poveri sfama i cassonetti dell'immondizia, non le famiglie. Ho fatto un conto su di me, io che ho grande rispetto per il pane. Bene, i miei conti mi dicono che ogni giorno ne butto via almeno un etto. Per mille idiote ragioni. Sono qualcosa come 200 euro l'anno. Quanto un governo pietoso ficca nella calza della befana di un pensionato.
Mi piacerebbe sapere quanto pane c'è in un cassonetto; quanto ne butta una famiglia tutti i santi giorni di tutto l'anno. Come fosse spazzatura. Come fosse niente, appunto. Un chilo di pane può nutrire un uomo adulto a sazietà per tutto un giorno; finché costerà come un'inutile, estenuante telefonata alla fidanzata, non varrà niente. E nessuno che abbia un reddito che gli permette quella telefonata ha il diritto di lamentarsi se aumenta anche di un euro al chilo. E questo lo dice un non povero.
Ma i poveri, chi li sente?...
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