Una tela a Busseto del pittore fidentino Angelo Carlo Dal Verme

Creato il 26 settembre 2011 da Ambrogio Ponzi @lucecolore

Una tela nell'antico convento dei Frati Minori di Busseto

Non è facile per chi si addentra  nei corridoi e nelle stanze dell’antico Convento dei Frati Minori di Busseto (oggi dei Missionari Identes), sottrarsi al fascino sottile di questa rarissima raffigurazione sacerdotale del Beato Giovanni Buralli (Parma 1208 - Camerino1289), santo parmense  forse più noto agli studiosi del francescanesimo che non al grande pubblico dei fedeli. La tela, datata 1779 e ritenuta tra le migliori opere del fidentino Angelo Carlo Dal Verme (1748-1825), ritrae  il beato Giovanni Buralli che celebra la Santa Messa,  assistito da  un angelo, presentato nelle sconcertanti  sembianze di un  frate alato inginocchiato sul gradino dell’altare, mentre in cielo volteggiano alcuni gioiosi angioletti che reggono un  lungo cartiglio (cfr.: A.Leandri, 2007).
L’insolito soggetto si rifà molto probabilmente ad un episodio narrato dalla Cronaca di  fra Salimbene, che ricorda  come tutte le mattine,  “al primo schiarire del cielo”, frate Giovanni chiamava a servire la messa un suo giovane scolaro. Un giorno che questi si addormentò,  il suo posto accanto all’altare fu preso da un angelo  che  servì devotamente frate Giovanni senza però far trasparire la sua vera identità di inviato celeste. L’intervento dell’angelo venne alla fine riconosciuto   destando   ovviamente grande sconcerto tra i frati, ma non in frate Giovanni che perdonò il  negligente discepolo, sentenziando: “ Credevo che fossi tu. In ogni modo, chiunque fosse, sia egli benedetto! E benedetto sia il nostro Creatore in tutti i suoi doni!” (traduz. di B.Rossi).    Dipinto due anni dopo la sua  proclamazione a  beato da parte di Pio VII e la pubblicazione della Vita scritta dall’Affò (Parma, 1777), il quadro colloca l’apparizione  angelica tra le colonne del santuario di una grande chiesa, anziché tra le rustiche mura dell’eremo di Greccio, dove secondo le fonti francescane il miracolo sarebbe avvenuto; all’enfasi architettonica  tipicamente settecentesca  si accompagna tuttavia una puntuale descrizione dei paramenti e delle suppellettili liturgiche, fino a definire  ogni minimo gesto rituale del celebrante, che, assorto in contemplazione dei sacri misteri, si china sull’altare per prendere con la mano sinistra le due parti dell’Ostia e la patena, mentre con la destra si batte il petto, ripetendo le parole di fede del centurione: Domine non sum dignus ut intres…” Alla comunione del Buralli,  rappresentato con un’ intensità veramente toccante, corrisponde  l’atteggiamento più convenzionale  dell’angelo, che insieme all’abito francescano ha assunto  i tratti soavi  e la fronte ampia e stempiata di un dotto religioso; di fronte al  divino sacramento questo misterioso angelo-frate non osa alzare lo sguardo e manifesta il suo stupore eucaristico additando insieme all’ostia consacrata le nuvole d’incenso che escono dal braciere, simbolo della preghiera dei fedeli cristiani che, afferma san Paolo, spande nel mondo il profumo di Cristo che si è offerto   al Padre “in sacrificio di soave odore”.  Destinata ad un altare della contigua chiesa di Santa Maria degli Angeli, da cui fu rimossa agli inizi del secolo scorso, la piccola pala ripropone, con la minuta grafia del Dal Verme, la complessa e  affascinante figura del Buralli  quale perfetto esempio di vita ascetica e sacerdotale, analogamente al clericalizzato san Lorenzo da Brindisi, dipinto dieci anni prima  da Antonio Bresciani  per i Cappuccini di Fidenza. Ma la problematica vicenda di Giovanni da Parma, che si identifica con i tormentosi esordi dell’ordine francescano lacerato dalle divisioni tra “spirituali” e “conventuali”, riaffiora tuttavia  attraverso gli attributi del  libro aperto e del  cappello cardinalizio, entrambi visibili in basso a destra, abbandonati sul pavimento della chiesa.  Sulle pagine del libro, alcune lettere di non facile lettura  alludono chiaramente  agli scritti (forse il suo  Ordinationes divini officii che costituisce il primo cerimoniale dell’Ordine ) e al ruolo  esercitato da frate Giovanni  al vertice dell’Ordine minoritico, come settimo successore di san Francesco. Al  suo ostinato rifiuto della porpora si collega invece il cappello cardinalizio che diventa pertanto  simbolo di grande umiltà. Ricordato dalle fonti francescane come instancabile predicatore che sapeva parlare “al popolo e al  clero”  commuovendoli fino alle lacrime, dopo gli studi e l’insegnamento esercitato nelle prestigiose università di Bologna, Napoli e di Parigi, Giovanni da Parma  viene eletto nel 1247 Ministro generale dell’Ordine dei Minori; ambasciatore a Costantinopoli per ricomporre l’unità della Chiesa ( “angelo di pace” lo definì Innocenzo IV); fu consigliere di quattro Papi ma per le sue tendenze rigoriste e filo gioachimite e forse in seguito alla drammatica avventura di frate Gerardo da Borgo San Donnino ( l’autore del Liber Introductorius ad evangelium aeternum, processato a Parigi, dove morì prigioniero nel 1258), di cui era amico e protettore, fu indotto a dimettersi da ministro generale: santo inquisito da  inquisitore santo, com’è stato scritto, il Buralli venne probabilmente “processato” dal suo stesso successore san Bonaventura. Si ritirò nell’eremo di Greccio dove visse trent’anni in preghiera e penitenza, rinunciando alla porpora cardinalizia che gli era stata offerta da papa Giovanni XXI e poi da papa Niccolò III. Morì nel 1289 a Camerino, che ne conserva tuttora le reliquie,  mentre si apprestava a recarsi nuovamente in Grecia per la riconciliazione con la chiesa. La sua festa liturgica è fissata al 20 marzo. Salimbene, suo contemporaneo, ci fornisce questo gustoso ritratto  che sembrerebbe coincidere con l’appassionata immagine ricostruita dal nostro Dal Verme: “di statura mediocre ma piuttosto piccolo che grande, d’aspetto gradevole ma ben proporzionato, robusto e rotto alla fatica sia fisica sia intellettuale, vultum habebat angelicum et gratiosum et sempre iucundum, ed erat largus, liberalis, curialis, caritativus, humilis, mansuetus, benignus et patiens (cit.da R.Lasagni,1999).
Guglielmo Ponzi Pubblicato su “Il Risveglio” il 13 novembre 2009

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