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Una triste fine

Creato il 17 febbraio 2011 da Fabio1983
Una triste fineLa triste fine che hanno fatto i simboli
A quattro mani con Francesco Nardi, per T-Mag
C’erano una volta i simboli. Querce, rose, garofani, margherite e ulivi non riescono a sopravvivere dinanzi alle intemperie dell’attuale comunicazione politica. Anche se tentativi di omaggi floreali non sono mancati nelle ultime consultazioni: una Rosa nel pugno e una Rosa Bianca, entrambe appassite nel giro di pochi mesi, giusto il tempo di una campagna elettorale. Asinelli che preferiscono starsene altrove e api che svolazzano lontano, mentre i Soli – ridenti o meno – tramontano.Simboli che scompaiono. I loghi dei partiti sono così sprovvisti di quei valori semantici che in passato li contraddistinguevano, lasciando spazio a pochi ed essenziali elementi. Al massimo una scritta concepita per evidenziare il marchio di fabbrica o per far sì che l’elettorato tenga bene a mente chi è il leader. È l’evoluzione di una politica che muta i connotati, che si fa personale e personalizzata, che va a braccetto con la presunta morte delle ideologie. Un primo cambio di rotta viene dettato da Bettino Craxi nel 1978, quando il garofano – che già aveva fatto la sua comparsa nel ’76 – appare sgargiante in ossequio alla Rivoluzione portoghese del 1974 e a danno della falce e martello. Più tardi, nel 1985, il simbolo di massa verrà del tutto rimosso a esclusivo favore del garofano, emblema di un Partito socialista ormai distante anni luce dalle logiche marxiste.Ma è solo l’inizio, dicevamo. L’iconicità minimale raggiunge il punto più alto con l’avvento del berlusconismo. Tangentopoli spazza via i residui ideologici e il capo carismatico, che incarna l’essenza della nuova politica, non necessita dei simboli che invece caratterizzarono l’ancient régime. Al bando il superfluo, è l’era del partito mediale. Ma sia beninteso: muoiono i simboli, non la simbologia. Delle allegorie utili per ottenere il consenso la politica ha un costante bisogno. Nel mondo delle azioni, affermava non a caso Lippmann, i simboli possono essere benefici e quando servono a risultati immediati la manipolazione delle masse attraverso di essi “può essere il solo mezzo rapido per realizzare una cosa d’importanza cruciale”. I concetti assumono perciò un significato simbolico e il senso di appartenenza a un partito non si misura più tramite il riconoscimento formale di un’unica egida, ma per via della fiducia incondizionata nei confronti della leadership.
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