O Basso, la villa di Baia del nostro Faustino non occupa spazi di terreno ben ordinati con infruttuosi boschetti di mirto, con platani che non sostengono le viti né con bossi ben potati, ma si compiace di una vera e rustica campagna. Qui in ogni angolo si ammucchiano sacchi zeppi di grano e nell’autunno avanzato molte anfore profumano di vino; qui, passato novembre, nell’imminenza dell’inverno, l’irsuto contadino porta le uve tardive. I tori selvaggi muggiscono nella profonda valle e i vitelli con la fronte ancora disarmata anelano al combattimento. Tutto lo stuolo degli animali del pollaio si muove di qua e di là, l’oca dal verso acuto, i pavoni dalla coda gemmata, l’uccello che prende il nome dalle ali rosseggianti, la pernice variegata, le galline faraone dalle piume chiazzate e i fagiani dell’empia Colchide. I galli baldanzosi coprono le galline di Rodi e le colombaie risuonano del battere delle ali delle colombe, da una parte il colombo selvatico, dall’altra la bianca tortora fanno sentire il loro verso. Avidamente i porci seguono i lembi della veste della fattoressa e il tenero agnello aspetta le gonfie mammelle della madre. Circondano il sereno focolare gli schiavi nati in casa dalla bianca pelle e un gran mucchio di legna risplende bruciando nei giorni festivi davanti ai Lari. Qui il dispensiere neghittoso non è pallido per l’ozio che lo rende smorto e il maestro di palestra lucente d’olio non lo spreca, ma tende la rete ingannatrice ai ghiotti tordi e solleva dall’acqua il pesce preso con la lenza tremolante o riporta il daino rimasto imprigionato nei lacci. L’orto poco faticoso fa lavorare lietamente gli schiavi cittadini e senza che lo prescriva il pedagogo i giovani lascivi dai lunghi capelli obbediscono contenti al fattore e il delicato eunuco si assume la sua parte di lavoro. I contadini che portano il loro saluto non giungono senza niente: uno porta il bianco miele con la sua cere e un cono di formaggio della boscosa Sarsina; un altro offre ghiri sonnolenti, un altro il piccolo belante di una pelosa capra, un altro ancora i capponi costretti a non amare. Le robuste vergini figlie degli onesti coloni offrono in cesti di vimini intrecciati i doni delle loro madri. Compiuti i lavori, si invita il lieto vicino: la mensa non conserva, con avarizia, le vivande per l’indomani, ma tutti mangiano e il servo, sazio, non prova invidia per il commensale ubriaco. Ma tu possiedi appena fuori Roma una casa elegante in cui abita la fame e dall’alta torre non vedi altro che lauri, e sei del tutto tranquillo perché il tuo Priapo non ha motivo di temere i ladri. Alimenti il vignaiolo con il grano che proviene dalla città e senza lavorare porti ortaggi, uova, polli, frutta, formaggio, mosto nella tua casa di campagna affrescata. Bisogna chiamarla casa di campagna o piuttosto una casa di città che non è in città? -Marziale-
Prega le compagne della sua donna,di presentarle questa ballata.
Donne leggiadre e giovani donzelle,
Deh, per vostro onore,
Per me pregate a cui son servidore.
Egli è una tra voi
Con sì vaga bellezza
Che face amante ciascun che la mira;
Perché dagli occhi suoi
Si muove una chiarezza
Che dà conforto a chi per lei sospira:
E quando i suoi begli occhi in ver me gira,
Sento lo gran valore
Che per grazia mi fa sentire Amore.
Nel suo vago cospetto
Verace amor dimora,
Lo quale è pien di grazia e di mercede,
Ond’ ha gioia e diletto
Ciaschedun che l’onora,
Perch’ altro dal suo viso non procede.
Oneste e vaghe, questa con voi siede,
Da cui sento tutt’ore
La chiara luce del suo isplendore.
Se questa mia preghiera
E ‘l viso di pietosi color farsi,
Non so se vero o falso, mi parea:
L’ che l’esca amorosa al petto avea,
Qual maraviglia se di subit’ arsi?
Non era l’andar suo cosa mortale,
Ma d’angelica forma; e le parole
Sonavan altro che pur voce umana.
Uno spirto celeste, un vivo Sole
Fu quel ch’ i’ vidi; e se non fosse or tale,
Piaga per allentar d’arco non sana.
-Matteo Frescobaldi- ( ? - 1348 )