Il contesto storico
Prima di divenire Presidente del Kazakhstan indipendente, Nursultan Nazarbaev era a capo del Soviet Supremo kazako durante gli ultimi giorni dell’URSS. Michail Gorbačëv era in procinto di nominarlo Primo Ministro della Federazione riformata che stava cercando di creare, quando ebbe luogo il colpo di Stato del 1991 che portò Boris El’cin al potere. Quest’ultimo, con la benedizione dell’Occidente, procedette nello sciogliere tempestivamente l’Unione Sovietica, dando vita in un sol colpo a quindici nazioni sovrane.
Tra questi nuovi Paesi, il Kazakhstan può esser visto, con alcune riserve, come l’esperienza di maggior successo e con una transizione politica relativamente tranquilla: il merito di ciò può essere attribuito a Nazarbaev stesso, che si è sempre mosso nella convinzione che l’indipendenza non fosse un “fine”, bensì uno strumento da usare per costruire la prosperità, sia nel suo Paese sia nell’intera regione. Sin dai primi anni ’90, egli si è costantemente impegnato a riorganizzare l’ex spazio comune sovietico attraverso strumenti quali la CSI, l’EURASEC e la CSTO, proponendo allo stesso tempo una valuta comune ed uno spazio economico integrato per tutti i Paesi dell’Asia Centrale, Iran incluso.
Nel suo vocabolario l’interdipendenza eurasiatica e la solidarietà non rappresentavano parole vuote, ma un’idea dal grande valore che non poteva certo essere attribuita allo sciovinismo russo o panslavista. Nazarbaev si definisce come un fiero discendente dei sovrani nomadi delle vaste steppe che negli ultimi 3000 anni hanno unificato gran parte del continente eurasiatico in diversi frangenti storici – i Saci o gli Sciti, i Turchi e i Mongoli, tutti membri di un Commonwealth di pastori a cavallo e guerrieri che si estendeva dal Caspio alla Manciuria, dalla Siberia meridionale all’Afghanistan del nord.
Nazarbaev prende molta della sua ispirazione “sovra-nazionalista” dal turcologo russo Lev Gumilëv (1912-1991), figlio della poetessa Anna Achmatova, da cui l’Università di Astana prende il nome. Gumilëv, che gode di un ampio seguito nella comunità accademica russa e centroasiatica, credeva che i Russi facessero parte di un “superethnos” comune con i Turco-mongoli ed altri popoli delle steppe, e che l’Impero zarista fosse una continuazione dell’impero continentale gengiskhanide.
Il Kazakhstan, il più grande Stato centro-asiatico dal punto di vista territoriale, occupa il centro della massa eurasiatica che Halford Mackinder definì come Heartland. Esso è la culla dei fondatori di grandi imperi come quello selgiuchide, ottomano, mughal, qajar e separa – o connette, dipende dai punti di vista – la Cina e l’Iran, la Russia e l’Asia meridionale. Come l’impero dei Kushan durante il I-II secolo d. C., il Kazakhstan è profondamente influenzato da tutti i Paesi e le culture vicine; la visione di Nazarbaev non è quella di uniformare artificialmente la sua giovane nazione ignorando o sottovalutando tali “elementi stranieri”, bensì di sottolinearli, valorizzarli nel processo di costruzione di una sintesi concepita come unione senza assimilazione. La nuova capitale, costruita su sua iniziativa, mostra uno spirito sincretico attraverso chiare allusioni ai vari stili architettonici delle civiltà che hanno dato forma al moderno Kazakhstan: Astana, nella sua architettura contemporanea e alle volte futuristica, mostra facciate, guglie e lunghi viali che ricordano la Mosca di Stalin e dei Romanov, così come S. Pietroburgo, le pagode cinesi, le cupole turche, le iurte mongole, le piramidi egiziane ed i minareti arabi.
Un aspetto distintivo dell’azione di Nazarbaev, comunque, è il non volersi limitare alla mera creazione di una capitale faraonica, come la leggendaria Karakorum di Gengis Khan, la Xanadu di Kubilai Khan o la Samarcanda di Tamerlano. Né egli sta semplicemente cercando di rendere il Kazakhstan uno degli Stati che “contano” sulla scena globale per la sua dimensione, ricchezza mineraria o collocazione strategica. Egli vede piuttosto il Kazakhstan come un fulcro e un banco di prova per una nuova architettura internazionale volta a integrare il continente eurasiatico e, eventualmente, il mondo intero: per molti anni Nazarbaev ha sostenuto una serie di misure volte a realizzare questo ambizioso traguardo che, nel contesto degli eventi attuali, appare sempre più necessario. Sembrerebbe alquanto futile per il capo di uno Stato remoto, senza sbocco sul mare, poco popolato e con scarsi successi nella diplomazia internazionale, perseguire simili alti obiettivi. In ogni caso, l’esperienza pregressa di Nazarbaev ai piani alti dello Stato sovietico e le sue relazioni privilegiate con la leadership russa e quella cinese – così come i buoni rapporti con la UE e gli Stati Uniti – gli conferiscono una capacità insolita di farsi sentire in lungo e in largo. Egli ha reso il Kazakhstan un membro sia dell’OSCE che della SCO e dell’OIC (Organizzazione della Conferenza Islamica), affermando così la sua vocazione di archetipico Stato eurasiatico, in questo senso simile alla Russia. In più, conformemente all’idea di coesistenza pacifica e disarmo, sotto la sua guida la nazione kazaka ha rinunciato e smantellato le armi nucleari ereditate dal passato sovietico, pur essendo entrata a far parte della CSTO, struttura costituita per proteggere la comune sicurezza regionale da minacce esterne.
Diagnosi e obiettivi
Oltre l’incentivo a rendere vittorioso il suo Paese nel “casinò” economico mondiale sulla base della forza delle sue grandi riserve di petrolio, gas e minerali strategici, Nazarbaev ha condotto un’attenta analisi accademica dell’attuale sistema, che l’ha portato a sostenere che “l’ideologia neoliberale, con il suo sistema monetario egemonico, non promuove la creazione di condizioni globali tecnologice e socio-culturali necessarie alla transizione verso un nuovo ciclo di sviluppo” (“Piano anti-crisi di N. A. Nazarbaev”, di S. N. Nugerbekov, 2011).
Egli ha dunque fatto appello ad una “trasformazione cardinale del sistema economico”. Per giungere a tale obiettivo, egli ha preso numerose iniziative, a cominciare dalla riunione annuale del Forum Economico di Astana che convoca i migliori economisti, scienziati, uomini d’affari e leaders politici per la creazione di un “G-Global”, che è una più ampia risposta ad eventi sponsorizzati dall’Occidente come il G-8 e il G-20 e che egli vede come uno strumento per giungere ad un “partenariato globale tra civiltà” stando ai princìpi definiti tra India e Cina nel 1954 (come base del famoso accordo Panchsheel e in armonia con il World Public Forum Dialogue of Civilizations, sponsorizzato dalla Russia). Un’interfaccia tra il G-Global e il G-20 è il think tank informale noto come Think20, riunitosi a Guadalajara (Messico) prima dell’ultimo incontro dei G-20 del marzo 2012.
Sul piano spirituale e culturale, il Presidente kazako è promotore della tradizionale nozione asiatica di unità nella diversità, come alternativa al secolarismo irreligioso dei giacobini francesi, che assume il permanente e mutuo sospetto e la separazione tra ogni “chiesa” e fede dallo Stato. In questa visione, tutte le religioni – ricordiamo che il Kazakhstan è abitato da musulmani iranici e turchi, slavi ortodossi, cristiani, ebrei e buddisti – possono unirsi nella coscienza di un principio trascendentale universale che nel reame spirituale turco-mongolo è onorato come “Tengri”, il Padre del Cielo. In questo spirito, Astana ospita ogni anno il World Spiritual Forum dei leaders religiosi, degli scienziati con una coscienza metafisica e dei “cercatori” indipendenti.
Come i suoi pari in Russia, Putin e Medvedev, che lo supportano nella sua iniziativa politico-economica, Nazarbaev adotta un approccio pragmatico per il raggiungimento dei propri obiettivi. Essendo giunto alla conclusione che “i vecchi strumenti finanziari hanno perso la loro credibilità e che i nuovi ancora debbono essere sviluppati” (ibid., pag. 13), il Presidente ha patrocinato la creazione di una nuova valuta di riserva globale basata non più sul dollaro, la cui emissione è sotto il solo controllo di un cartello finanziario statunitense, ma fondata su di un paniere formato dalle più influenti economie mondiali, sulla base di criteri obiettivi di produttività e investimenti reali. Le sue raccomandazioni trovano sostegno nel report 2012 di Think20, che prescrive “misure di politica economica che portino alla crescita trainata da investimenti e innovazione, alla trasformazione della produzione di energia e al coinvolgimento dei Paesi in via di sviluppo”, con la nuova valuta proposta che viene vista come uno strumento per raggiungere tale innovativo processo di sviluppo.
Nazarbaev ha ottenuto il supporto sia del governo russo che di quello cinese, così come l’appoggio dell’economista vincitore del Nobel Robert Mundell e di altri luminari del settore. La sua analisi arriva alla conclusione dell’iniziativa italo-russa di Modena del 2008, coordinata da Paolo Raimondi, Jurij Gromyko e Mikhail Bajdakov sfociata nella creazione del Long Term Investors Club (LTIC), che ha messo insieme un grande numero di istituzioni coinvolte negli investimenti pubblici.
Il consenso sulla strategia per uno sviluppo reale, inclusivo, sostenibile e ispirato dalle tesi di John Maynard Keynes, è già emerso e rappresenta un’alternativa all’attuale ricerca di una crescita matematica e statistica del sistema economico, avulsa da ogni più ampia considerazione o criterio interdisciplinare. Uno dei documenti base per questa prospettiva “dissidente” è la dichiarazione D8-D20 rilasciata dal Forum Economico Internazionale Est-Ovest durante il meeting del 26 giugno 2009 a Mosca, punto di riferimento per il successivo vertice di Astana di maggio 2012 dedicato alla definizione di valute e altri strumenti finanziari che possano agire da catalizzatori per avviare una nuova ondata di crescita economica globale inclusiva.
Le idee del Presidente kazako sono ben espresse nel saggio citato prima: “Per causare la caduta del capitalismo è sufficiente pagare il minimo ai partecipanti al mercato o, peggio ancora, creare una misura difettosa dell’economia di mercato” (ibid., pag. 18) che è precisamente ciò che è accaduto nello scenario neoliberale, in cui il capitale globalizzato si muove attraverso i confini alla velocità della luce, cercando profitti sempre più alti per i padroni a spese della forza lavoro e del benessere delle nazioni dove tale ricchezza si accumula. Questo risultato suffraga le predizioni di Keynes che, nelle parole di H. Minsky, costruì “una potente teoria per la quale il capitalismo è, per sua natura, instabile e tendente al collasso. Lontano dal tendere verso una qualche magica forma di equilibrio, il capitalismo finirà inevitabilmente all’opposto. Esso si spingerà nel vuoto.”
Per il processo di integrazione dell’Eurasia, che renda quest’ultima il fulcro di un nuovo sistema monetario globale e l’incubatrice di una trasformazione industriale, il governo del Kazakhstan ha messo in piedi negli ultimi anni una serie di istituzioni, come il Club degli scienziati eurasiatici, l’Eurasian Business Congress e la Banca Eurasiatica delle Nuove Tecnologie.
Modi e mezzi per l’integrazione eurasiatica
Affinché l’integrazione sia effettiva, occorrerà costruire una rete di trasporti e comunicazioni, stimolando le economie della regione attraverso la creazione di nuovi strumenti finanziari atti a sovvenzionare questi ambiziosi progetti di sviluppo umano e tecnologico, che rappresentino le infrastrutture materiali di una nuova Via della Seta in grado di unire Oriente e Occidente, l’Europa e l’Africa attraverso la Russia, il Kazakhstan e i suoi vicini, estendendo eventualmente l’integrazione al subcontinente meridionale dell’Asia e al Vicino Oriente attraverso l’Afghanistan, l’Iran e il Mar Caspio.
India e Pakistan hanno entrambi grandi interessi in un simile piano, come illustrato concretamente dal recente avvio del gasdotto TAPI (Turkmenistan – Afghanistan – Pakistan – India), così come dal “corridoio meridionale” indo-russo-iraniano, un progetto comprendente la costruzione di superstrade, ferrovie e telecomunicazioni da Bandar Abbas sul Golfo Persico fino al Baltico e all’Europa Occidentale. Un’arteria vitale di tale rete sarebbe il sistema di ferrovie a levitazione magnetica, che trasporterebbe beni e persone dalla Cina e dalla Corea fino a Istanbul e Amsterdam, con un considerevole risparmio di tempo e denaro rispetto alla tratta oceanica. Al centro di questa rete, il Kazakhstan riprenderebbe il suo ruolo tradizionale di ponte tra i quattro quarti dell’Eurasia, “da oceano a oceano”. C’è anche una prospettiva di estendere tale via di comunicazione multimodale attraverso lo stretto di Bering.
Costruire una simile rete fisica intercontinentale richiede considerevoli mezzi finanziari, che difficilmente possono essere reperiti nella situazione attuale, caratterizzata da un indebitamento insostenibile e dalla concentrazione di capitale in operazioni speculative di breve termine. Il Presidente del Kazakhstan ha spesso sottolineato il dato disturbante che “solo il 10-20% della base monetaria mondiale è canalizzata verso la vera produzione di commodities”, con il 90% delle risorse usate per strumenti finanziari derivati che servono solo a transazioni speculative. Secondo Nazarbaev, il sistema valutario mondiale attuale, che si rifà agli accordi di Giamaica del 1976, “non è supervisionato da nessuno e non è democratico” (discorso di Nazarbaev al 3° Forum di Astana, 2010). Come alternative, egli propone una singola valuta sovranazionale, per la cui creazione ha disposto tre passi necessari:
- 1. definire un nuovo paradigma che sia all’altezza della realtà e delle sfide che essa pone;
- 2. orientare i sistemi monetari e finanziari sugli interessi di base, vicini agli scopi e ai valori di tutti gli attori fondamentali;
- 3. allineare gli strumenti monetari e finanziari con soluzioni proposte per la radicale riformulazione del sistema globale.
Al posto di una nuova “moneta” come un “superdollaro” nel senso letterale, ciò che emerge dal consensus di Astana sembra più uno stabile regime di conversione tra le maggiori valute mondiali, incluse alcune valute regionali ancora da creare (nell’EURASEC, Sud America, Asia, Africa) come espressione di un accordo tra i più importanti membri della comunità internazionale provenienti da tutti i continenti sulla base delle loro risorse umane, naturali, tecnologiche e scientifiche. Nel contesto della crisi attuale, che va ampliandosi e peggiorando, una simile proposta acquisisce un’aura di inevitabilità.
Comunque, prima di poter stabilire un accordo globale per realizzare la proposta del Kazakhstan (che pare un’iniziativa congiunta con Russia e Cina), bisognerà generare strumenti creditizi ad hoc per sovvenzionare progetti internazionali su larga scala intesi a catalizzare il recupero economico e il passaggio a nuove tecnologie. Questa è forse la proposta più concreta, a breve e medio termine, emersa dalle delibere di Modena, Mosca e Astana.
Un nuovo sistema valutario globale
Su un piano più ampio, il paniere iniziale dei DSP (diritti speciali di prelievo del FMI) ideati dal sistema di Bretton Woods e da lì sostanzialmente modificato, dovrebbe essere allargato per contenere lo Yuan cinese, il Won coreano, il Rublo russo, il Real brasiliano, la Rupia indiana, il Rand sudafricano, il Rial saudita e forse anche la Lira turca e il Rial iraniano. Si è pensato tuttavia anche di collegare questo nuove regime di cambi fissi all’oro o ad un paniere di commodities strategiche, al fine di potenziarne la stabilità e guadagnare fiducia.
Anche se questa proposta sembra troppo vasta e radicale per essere realizzata a breve, giorno dopo giorno sono stati fatti alcuni passi proprio nella direzione indicata da Nazarbaev. Il rapido uso degli swaps in valuta fatto per il commercio tra i BRICS, il commercio “senza dollari” in petrolio e gas tra Iran, Cina e India, le mosse verso il coordinamento tra le politiche valutarie di Cina e Giappone e l’imponente volume di transazioni yuan-rublo tra Russia e Cina, assieme al sorgere dello spazio economico dell’EURASEC e l’integrazione monetaria tra Russia, Kazakhstan e Bielorussia (da estendere in futuro agli altri Paesi CSI) spianano la strada a un sistema finanziario internazionale alternativo non basato su di una valuta nazionale egemonica.
L’Unione Europea è oggi insicura del suo destino e dubbiosa sulla sopravvivenza dell’Euro. In tale contesto, la crescente e ufficialmente riconosciuta partnership tra Germania e Russia è il segnale che il centro di gravità del continente si sta spostando verso est, e che Berlino si sta preparando per un’alternativa in caso di fallimento del sistema euro. D’altro canto, sembra probabile che se la Grecia e altri Paesi europei meridionali e orientali siano ormai tagliati fuori dalla moneta unica, essi graviteranno verso l’alveo eurasiatico della stabilità monetaria e finanziaria che si sta sviluppando tra Mosca, Pechino e Astana. Gli economisti hanno opinioni discordanti sul fatto che una riduzione o disintegrazione dell’eurozona possa permettere al dollaro di riaffermarsi come valuta egemonica; alcuni credono che si potrebbe giungere ad un paniere a valute multiple, visto che la caduta dell’euro potrebbe innescare quella del dollaro.
Al 5° Forum economico di Astana del maggio 2012, le raccomandazioni fatte da due eminenti economisti devono fungere da monito per l’elaborazione di un nuovo sistema finanziario. Il Prof. Henry C.K. Liu ha fortemente sostenuto che tutte le maggiori nazioni esportatrici chiedano pagamenti nella loro valuta e non in dollari, mentre il Prof. Jeff Sommers ha enfatizzato che, in luogo di accumulare capitale finanziario – fragile ed elusivo in quanto inevitabilmente dissipato nel tempo – le politiche nazionali dovrebbero concentrarsi nell’investire nell’infrastruttura pubblica e nel welfare per il quale, ha notato Liu, c’è bisogno di capitale umano e non di risorse finanziarie, visto che queste ultime possono essere create attraverso l’emissione di strumenti di credito pubblico. Entrambi gli esperti concordano sul fatto che la priorità debba essere data alla crescita di lavoro e non alla politica di “contrazione espansionistica” che ci sta portando alla recessione (rapporto Think20, marzo 2012). Questo è anche il punto di vista dell’America Latina, dei governi degli Stati membri dell’UNASUR.
In questa prospettiva, l’intrattabile e infinita accumulazione di debito pubblico e privato, il cui peso sta schiacciando l’economia reale, può essere visto come un fardello concettuale che può essere almeno in parte eliminato attraverso la cancellazione del debito stesso. La maggior parte del debito deriva infatti da un signoraggio usuraio, portato avanti da chi ha il monopolio sulla creazione di una valuta globale virtuale, supportata da nulla se non dalla fiducia nell’abilità del governo USA di mantenere le proprie promesse (o dalla paura del potere militare americano).
Sul tema, il report di Think20 sottolinea il bisogno per un processo di ristrutturazione del debito sovrano che “liberi il credito sovrano per lo sviluppo domestico”, come suggerito da Ellen Brown, Micheal Hudson e Henry Liu. Il report sostiene inoltre “il trasferimento e lo sviluppo di tecnologia open source” e l’incremento della “trasparenza nei mercati delle commodities attraverso lo sviluppo di meccanismi di scoperta del prezzo”.
Alcune considerazioni finali
Anche Eamon Fingleton, esperto delle economie giapponesi e USA, ha partecipato ad Astana, fornendo un’analisi ferocemente critica dell’economia americana, divenuta una macchina “stampa-dollari” controllata da capitalisti speculatori che ha sistematicamente incoraggiato la delocalizzazione della base manifatturiera e tecnologica del Paese oltreconfine per comprare un maggior numero di beni esteri con la sua valuta virtuale. Come risultato, gli USA stanno oggi affondando sotto una piramide di debito pubblico e privato che sta velocemente raggiungendo la dimensione del loro PIL, alimentato principalmente dal consumo interno di importazioni e da un mercato immobiliare ipertrofico.
La maggior parte delle compagnie americane si sono trasferite all’estero – e offshore – per tutti gli scopi pratici e non stanno più contribuendo in maniera significativa alla base fiscale nazionale, con il Paese che ha perso la propria autonomia industriale e di produzione tecnologica.
Nella visione di Fingleton, il collasso caotico degli USA è inevitabile a causa della loro incapacità di riformare un sistema che giova fortemente alle élites finanziarie. Henry Liu ha una visione meno pessimistica, anche se concorda sul fatto che gli Stati Uniti dovranno prendere alcune drastiche e dolorose riforme per sopravvivere come nazione potente. Il governo americano può continuare a opporsi e bloccare, per quanto possibile, le riforme radicali contro l’attuale status quo, specialmente quelle non sotto il suo controllo, e molte delle misure sostenute dal Kazakhstan dovranno essere portate avanti anche contro la volontà di Washington, visto che la capacità degli USA di imporre le proprie scelte al mondo si è già ridotta, nonostante essi puntino ancora ad usare mezzi militari per prevenire effetti indesiderati.
In conclusione, va notato che gli USA stanno ancora attraversando le fasi successive ad un colpo di Stato socio-politico, iniziato sotto la pressione della situazione economica derivata dalle elezioni manipolate di George W. Bush nel 2000, per arrivare poi l’anno successivo agli eventi dell’11 settembre. L’amministrazione di Barack Obama, nonostante le apparenze, ha solo mantenuto lo stesso corso con aggiustamenti minimi, dando così ragione a quegli osservatori degli USA che definiscono questo Paese come un sistema a partito singolo.
(Traduzione dall’inglese di Giuliano Luongo)