di Benedetta Tintillini
Benozzo Gozzoli non me ne vorrà, ma la visita al Museo di Montefalco, oltre all’incanto dei capolavori quattrocenteschi, riserva innumerevoli occasioni di piacevole stupore per la scoperta di tante grandi e piccole curiosità.
Montefalco, la ringhiera dell’Umbria, riempie gli occhi e rigenera la mente ed il cuore già all’arrivo, lasciata l’automobile, il bellissimo panorama sulla valle umbra si apre tutto intorno, dominato dal verde della campagna che ritroveremo, quasi identica, affrescata da Benozzo, nell’abside della chiesa di San Francesco, recentemente restaurato, da dove la visita ha inizio.
Già all’ingresso un’opera colpisce la mia immaginazione: una grande raffigurazione di una Madonna dal viso dolcissimo con in mano un nodosissimo randello in atteggiamento minaccioso… sbigottita osservo meglio: tiene un bambino piangente per mano strattonato da un diavolaccio mentre la madre del bimbo la invoca. E’ la cosiddetta Madonna del Soccorso, data l’alta mortalità infantile e l’uso di battezzare i figli in età avanzata, nel Cinquecento, e solo in Umbria, era diffusa questa iconografia che raffigurava la Vergine nell’atto di salvare il bambino dal maligno, a seguito delle preghiere della madre.
Nel museo c’è il wi-fi libero, scarico l’app attraverso la quale utilizzare la nuovissima tecnologia iBeacon, della quale il Museo di Montefalco, primo del circuito Terre e Musei, è dotato. Con un corredo di foto e notizie, mi sposto da una sala all’altra, mentre il dispositivo visualizza tutte le informazioni riguardo all’opera che ho di fronte: una guida accurata e leggerissima per una fruizione e comprensione ottimale dei capolavori.
A naso all’insù ammiro l’abside affrescata dal grande Benozzo Gozzoli, con le scene della vita di San Francesco, mi limiterò ad aggiungere che questo ciclo, a lui commissionato dal potente ordine francescano, è stata il primo realizzato come Maestro di bottega, dopo essere stato allievo dell’Angelico a Firenze. Molteplici sono le novità introdotte da Gozzoli: le più innovative per l’epoca furono l’utilizzo della prospettiva e del colore e la tridimensionalità delle figure.
Il ciclo è ascendente a tre registri e culmina con San Francesco nella mandorla celeste. Ma sono sempre i particolari a colpirmi: su una tavola imbandita c’è una crostata, accompagnata dal celeberrimo Sagrantino: è bello sapere che, dopo tutto questo tempo, la nostra regione ancora è in grado di riproporre le stesse scene e le stesse eccellenze…
A proposito di particolari: mi si fa notare che sovente i pittori adottavano un tratto distintivo, forse un codice: Benozzo Gozzoli include in ogni scena uno o più gruppi da tre sassi ed il Perugino, la cui natività è affrescata in fondo alla navata, aveva come prerogativa il fatto di non realizzare gli zoccoli agli animali.
Tutta la chiesa, originariamente completamente affrescata, riserva sorprese: nella cappella di San Girolamo è possibile osservare nel particolare le tecniche di realizzazione quattrocentesche: dalla punzonatura delle aureole una volta dorate, alla corda battuta per tracciare le linee rette, alla incisione delle sagome.
Scendendo nella cripta, e dove una volta c’era l’ossario, c’è una raccolta di reperti lapidei, tra le quali una iscrizione latina in alfabeto umbro ed una notevole statua di ercole del I sec. d.C.
Un rarissimo esempio di cantina in pietra è riemerso casualmente durante alcuni lavori nel 2006, è ancora visibile l’incavo dove si pigiavano le uve, i canali di scolo e le vasche di raccolta. Antichi strumenti per la lavorazione del vino arredano questi ambienti, incluso un piccolo torchietto per il Sagrantino, vino prelibato che deve sottostare ad un rigidissimo disciplinare.
Salgo infine alla Pinacoteca: esempi di antichi tessuti, altra eccellenza per cui è rinomata Montefalco, arredi e paramenti sacri, una statua in legno di un Saracino (sembra si disputasse la Quintana anche qui a Montefalco), l’urna per le votazioni per il priore.
Un’ultima opera stuzzica il mio interesse e la mia curiosità, oltre alla già citata Madonna del Soccorso di cui qui ce n’è una versione ad opera dell’artista montefalchese Melanzio.
E’ un’opera di Antoniazzo Romano, tra l’altro, in partenza per l’Expo: una tavola particolarissima, realizzata per una chiesa francescana e poi “riciclata” per una chiesa agostiniana. Riciclata in modo molto curioso: modificando l’abbigliamento o le prerogative dei santi “tramutandoli” in altri, ovvero: San Francesco (sono visibili saggi del saio, del cordone e del piede scalzo) si è tramutato in San Nicola, calzato e vestito di nero; Santa Caterina di Alessandria, cancellando la ruota simbolo del suo martirio è diventata Santa Illuminata e San Nicola di Bari diventa San Vincenzo.
Tante sono le curiosità e gli spunti di interesse a Montefalco, e questo vuole esserne solo un assaggio, per tutti coloro che riescono ogni giorno a cogliere ed a stupirsi di tutto il bello che ci circonda.
in collaborazione con www.umbriaecultura.it
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Comunicazione dal territorio
Per il Montefalco Sagrantino, il disciplinare di produzione prevede che siano impiegate uve di Sagrantino in purezza; uve che, con ogni probabilità, sono le stesse cui parlava Plinio il Vecchio chiamandole, secondo la consuetudine di allora, Itriola. L’invecchiamento minimo previsto per entrambe le versioni è di trenta mesi, di cui, per il secco, almeno 12 in botti di legno, prima di essere messo in commercio. Dotato di buona beva, deve avere almeno 13 gradi nella versione secca e 14 in quella passita.