autore: Maria Rita Ursitti (LoveKira)
Amol'Arte
"Fin da bambino, io mi
sentivo attratto verso tutto ciò che era bello, ed ogni manifestazione d’arte
era per me incanto... disertavo i banchi della scuola, per correre ad ammirare
un tramonto sulle rive del Po od il verde dei colli torinesi..."
All’interno del parco più amato
di Roma, Villa Borghese, troviamo un piccolo edificio protetto da basse mura
turrite, si tratta della Fortezzuola, Casa-Museo di un artista un tempo molto
apprezzato, oggi quasi dimenticato: Pietro
Canonica ( Moncalieri 1869 – Roma 1959).
Cos’è un museo? Forse una
categoria dello spirito? È ciò che deve aver pensato Pietro Canonica, scultore, pittore, musicista e letterato che in
queste stanze visse gli ultimi anni di una brillante carriera con l’intenzione
di creare l’ultima sua più ambiziosa opera: un luogo per una raccolta a propria
imperitura memoria.
“Studiare il vero nella forma più
pura, concentrando in essa il massimo del sentimento” con
queste parole, più volte ripetute, l’artista dichiarava il suo credo per
un’arte capace di idealizzare e allo stesso tempo esprimere i moti più segreti
dell’animo, continuando “sono convinto che l’allontanamento da una
ricerca pura e da grande semplicità non condurrà mai l’artista a far uscire dal
marmo una figura palpitante”.
In ogni sua opera possiamo
ammirare lo spirito di queste parole nella misura e nell’equilibrio classiche,
accostate alle inquietudini romantiche e al sentimento moderno. Dotato di un’indiscutibile
padronanza tecnica e rapidità di lavorare la pietra, Canonica entusiasma
l’aristocrazia europea sin dal suo esordio artistico divenendo presto
ritrattista di corte e interprete dei monumenti celebrativi che ancora oggi
adornano molte piazze, non solo in Italia.
All’entrata del museo possiamo ammirare subito
i marmi più suggestivi quali, Dopo il voto
(calco originale del 1893) figura malinconica di una giovane monaca che
suggerisce sentimenti introspettivi con quella grazia tutta ottocentesca, o il
celebre Ritratto di Franca Florio, affascinante
protagonista della Bella Epoque, resa immortale dal pennello di Boldini ma
anche da questo splendido marmo che rende giustizia alla sua femminilità. La
seconda sala è dedicata al rapporto privilegiato che l’artista ebbe con lo Zar
Nicola e la sua corte costituendo nel contempo una preziosa testimonianza
storica di un’epoca spazzata via dalla rivoluzione bolscevica. Presentato alla
famiglia reale russa, nel 1910 eseguirà, per loro, ritratti e monumenti celebrativi, di cui qui sono presente alcuni dei modelli originali come la colossale statua
di Nicola Nikolaevic a cavallo del 1912. Stabilitosi a Roma, dopo dieci anni, non
cessa di essere ambasciatore del gusto italiano all’estero come testimoniano il
Monumento a Faysal I, re dell’Iraq,
andato distrutto nel 1958, o il Monumento
alla Repubblica Turca per la città di Istanbul.
Con una vena lirica affronta
invece le numerose commissioni per la scultura commemorativa: piena di
tenerezza appare la figura di una bimba inseparabile dal suo gioco su cui
vegliano figure angeliche per la tomba in memoria di Laura Vigo o ancora lo
struggente Compianto per la tomba della
Famiglia Marsaglia. La poesia lascia il posto all’introspezione psicologica
nella lunga galleria dei ritratti di uomini e donne che hanno fatto l’Italia
dell’epoca, dove a guidare la mano dell’artista è la determinazione a voler
infondere nel marmo l’anima e la personalità dei modelli. E così la stessa personalità del Canonica, oltre che nella sua magnifica arte, è possibile rincorrerla nelle stanze da lui
abitate, nella musica composta che si ascolta in sottofondo, nel gusto per le
opere d’arte scelte, nella raffinatezza degli arredi antichi o ancora nella
luminosità di quello studio affacciato nel giardino con i suoi attrezzi ancora
visibili.
Non si può lasciare questo luogo
senza un lungo sguardo all’Abisso , opera
del 1912, dove è mostrato l’abbraccio immortale di due amanti, stretti quasi a
volersi fondere per andare incontro al destino comune che un sentimento passionale
e disperato li condanna, forse quello stesso che suggeriva Dante per Paolo e
Francesca.
"...La mia storia e’ la
storia della mia vita e quella della mia arte, perche’ alla mia arte ho
dedicato quasi tutto il mio tempo, mentre le vicende che ho vissute, quelle di
dolore soprattutto, hanno influito sulla mia anima e quindi anche sulla sua
espressione. Ottanta anni di vita non mi sono bastati a dire tutta la mia
parola. Il germe che è in me, che è stato e che è divino, non sono ancora
riuscito ad esprimerlo tutto: ho lavorato sempre per comunicare la mia idea,
per compiere la mia parola, e adesso che sono vecchio cerco ancora di
esprimermi con l’energia e la passione dei miei venti anni, in tutti i campi
che ho potuto tentare.Questo è quanto so di me, fin dai primi anni, fin da
quando ho memoria di me stesso..."
- Maria Rita Ursitti -
Le immagini a corredo sono fotografie scattate dalla stessa autrice dell'articolo.
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