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Una vita a dente di sega

Creato il 25 luglio 2011 da Albino

Cambiare continente. Facile a dirsi.

La prima volta che mi sono trasferito in Australia sono partito con due valigie (non di cartone: Roncato). Per un mese sono stato a casa di mio fratello, a Melbourne, e poi mi sono trasferito a Brisbane. Non avendo nulla, il mio primo appartamento ho dovuto cercarmelo ammobiliato. L’affitto era alto, cosi’ alla prima occasione ho iniziato a convivere con altri, dopo meno di un anno. All’epoca gia’ in Italia prendevo bene, ma l’occasione in Australia mi offriva il doppio. Ho accettato ad occhi chiusi (e lo rifarei mille volte), anche se non avevo contato che tra il trasloco e i primi mesi mi son fatto fuori la liquidazione (cinquemila euro, vabbe’) piu’ la maggior parte dei risparmi che avevo messo via in anni di lavoro in Italia. C’ho messo anni a recuperare.
(Ma non e’ finita qui. Sapendo che non sarei tornato in Italia a breve, ho venduto per un tozzo di pane la Polo che avevo tenuto come un gioiello, tagliandata e tutto, gomme nuove, eccetera eccetera. Chi l’ha presa ha fatto un affare a spese mie.)

Dopo quattro anni, in Australia avevo la mia casa in condivisione, con i mobili comprati insieme ai coinquilini, e la camera da letto tutta mia. Quando ho deciso di andare in Giappone la mia parte di mobili l’ho lasciata in cambio di un paio di affitti (sottocosto, ma si sa, in amicizia), mentre il letto e altro li ho venduti su ebay a un’inezia. Volo e spedizione di tre o quattro scatoloni di roba che avevo (tavola da surf, attrezzatura da sub, libri, etc) erano a spese dell’azienda giapponese, per fortuna.

In Giappone prendevo (leggermente) di piu’, ma contando che ho dovuto comprarmi tutto (mobili, elettrodomestici) e che il costo della vita era piu’ alto (soprattutto l’affitto), a conti fatti ci ho messo dieci mesi a recuperare quello che avevo speso, Ritornando ai livelli pre-trasloco. Insomma, il grafico del mio stipendio continua ad aumentare, mentre quello delle mie finanze va a dente di sega. Sembra che io cambi continente ogni volta in cui il mio conto in banca raggiunge una soglia critica in cui mi sento “benestante”.

Due anni dopo, siamo al presente: albino ritorna in Australia. Paga tutto l’azienda. Il volo, il trasloco, un mese di appartamento e macchina. Poi pero’ l’accordo prevedeva che mi dovessi trovare un appartamento in affitto entro il mese (fatto – mi trasferisco sabato), e comparmi la macchina (fatto, ieri. Una Toyota Corolla, cosi’ ogni volta che mi manca il Giappone posso piangere sul manuale delle istruzioni alla voce “printed in Japan”).

Questa volta, dicevo, ho fatto in modo che l’azienda pagasse il trasloco dei mobili, cosi’ non ho dovuto vendere nulla (perfino gli attaccapanni mi sono fatto spedire!). Ma non e’ cosi’ facile neanche cosi’, visto che il minchia di Giappone ha la rete elettrica che va a 110V (because we are America’s dog, rispose un giappo saggio quando gli chiesi come mai di questo voltaggio senza senso*), mentre l’Australia va a un imbarazzante 240 (neanche 220, 240! Tutto piu’ grande qui). E via, la storia si ripete: ho dovuto dare via a un niente gli elettrodomestici seminuovi che avevo (in Giappone l’usato ha valore tendente allo zero. Non so se abbiate dimestichezza con la filosofia shintoista dell’ usato = impuro), e ora ho dovuto ricomprarmi tutto: frigo, microonde, lavatrice eccetera. Ridi e scherza, sono qui da due settimane e contando la macchina ho gia’ speso… non ci voglio pensare.

Dice, eh ma qui guadagni il doppio: di che ti lamenti, prima o poi recuperi. Certo, campa cavallo e prima o poi recupero tutto. Cio’ non toglie che a ogni trasloco sembra sempre di perdere un anno, e soprattutto c’e’ sempre quella spiacevole sensazione di essersela un po’ presa nel culo.

Tutto questo, naturalmente, per dire che e’ finita qui con i traslochi a spese mie. La prossima volta che cambio continente voglio come minimo l’appartamento e la macchina aziendali. E per la coppia di domestiche thailandesi bisessuali ninfomani compresa nel prezzo… beh, su quella ne possiamo discutere.



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