una vita di stenti e procrastinazione

Da Gynepraio @valeria_fiore
Qualche mese fa ho iniziato a leggere due blog americani, Zenhabits e Bemorewithless, entrambi gestiti da persone che si sono convertite al minimalismo e alla mindfulness. E’ sempre la mia maledetta indole wannabe aspirazionale che mi spinge a seguire gente che con grande naturalezza fa cose totalmente fuori dalla mia portata. In questo caso, è ancora peggio che seguire le fashion blogger di inarrivabile fama e stile, perché gli autori (Leo Babauta e Courtney Carver, nella fattispecie) non sono neppure belli, ricchi, vacui e stupidi, oh no! Sono persone sagge e generose che hanno la pretesa l’obiettivo di insegnare a noi non-illuminati come migliorare la qualità della nostra vita sconfiggendo i 3 grandi mali moderni:
  1. l’ansia di possesso, che ci porta a bramare l’inutile e riempire la nostra vita di impegni e pensieri non essenziali
  2. la resistenza alle abitudini positive tipiche di uno stile di vita sano: dieta, meditazione, attività sportiva, silenzio
  3. l’assenza di senso delle priorità e del tempo che scorre, che ci condanna irrimediabilmente a mancare l’obiettivo
Insomma, i 3 grandi mali della società contemporanea sono il materialismo, la trascuratezza e la procrastinazione. Sul mio capo, pendono tutti e tre. Di tutti, però, il più incompreso è la procrastinazione, e spero con questo appello accorato di fare luce sul tema. Sono in molti a credere che essa sia uno stato di inerzia totale. Nell’immaginario collettivo, il procrastinatore potrebbe essere il personaggio di una filastrocca di Gianni Rodari: è un tipo scanzonato che sta sotto l’ombra di un albero, a piedi nudi, sdraiato su un plaid, fischiettante, con un fiore in bocca (può-servire-sai-più-allegro-tutto-sembra!), che risponde “domani domani, ma sì, domani” a chi lo sollecita. Ecco, non ci credete: ripeto, non cadete in questo tunnel cognitivo. Smettiamola di chiamarli procrastinatori, diciamo le cose come stanno: quelli che rimandano per pigrizia sono perdigiorno, pesaculo, fannulloni. Essi sono simpatici, buffi, controcorrente, a volte autentici contestatori. Hanno coraggio delle loro azioni, e se ne vanno sghignazzanti per il mondo vestiti di nulla se non della loro improduttività. Ma noi procrastinatori -perché se non si fosse capito dal fervore delle righe precedenti io sono campionessa mondiale di procrastinazione carpiata doppia- non siamo dei pacifici inattivi. Siamo degli ansiosi. Viviamo nella consapevolezza di dover fare una certa cosa, ma non siamo abbastanza spregiudicati da ammettere la nostra totale assenza di motivazione, né abbastanza padroni di noi stessi da tapparci il naso e farla comunque. Il procrastinatore, pur di salvarsi la faccia e la dignità, anziché dire “preferirei donare un rene piuttosto che fare ________”, si finge incredibilmente indaffarato. L’importante è potersi difendere: “Non ho fatto _______ ma in compenso ho fatto _______,________ e anche ______”. Ad esempio io, come la maggior parte dei lavoratori dipendenti, devo essere in ufficio tra le 8:30 e le 9:00, affrontando un tragitto di 45 minuti. Il buon senso direbbe che potrei alzarmi intorno alle 7, per mettermi in auto alle 7:50. Cinquanta minuti sono un tempo assolutamente ragionevole per uscire dal letto, rendersi presentabili, vestirsi e consumare una colazione medioborghese, e invece io mi alzo alle 6:15. Non faccio alcuna fatica a svegliarmi, sento perfettamente il trillo, non tocco il tasto Snooze, sono mediamente vigile e addirittura di buon umore. Ci sarebbero tutti i presupposti per essere una persona normale ma, nel giro di pochi istanti dal risveglio, inizio ad avvertire il disperato desiderio di fare cose non essenziali, né particolarmente divertenti.
  • raccogliere il bucato, piegandolo con cura certosina
  • stendere il bucato, eliminando attentamente le grinze
  • svuotare la lavastoviglie, ivi incluso scrupoloso controllo dei bicchieri in trasparenza
  • caricare la lavastoviglie, previa rimozione e re-incastro dei piatti impropriamente messi dentro da voi-sapete-chi
  • spremere arance e apparecchiare la tavola per la colazione che manco la principessa Sissi di domenica
  • riordinare la casa e raccogliere oggetti fuori posto di cui in condizione normale non noterei neppure l’esistenza
  • raddrizzare quadri, sprimacciare cuscini
  • ripulire cartella delle foto su Iphone
  • rimpolpare cartella della foto su Iphone
  • fissare muro
  • ripassare vecchi successi di Nada e coreografie di Non è la Rai
  • sfidare me stessa, riaprire il libro di matematica finanziaria e cimentarmi in uno studio di funzione
  • varie ed eventuali

Quando voi-sapete-chi mi vede mettere in piedi tutto ‘sto teatrino, gli si riempiono gli occhi di una pena infinita, perché capisce che sto facendo di tutto per non uscire di casa. Allora s’intenerisce e cerca di prendermi con le buone “Dai, Vale, basta consultare quel manuale di botanica, lo scoprirai stasera come si potano gli alberi da frutto, che poi noi manco ne abbiamo uno, su, da brava, che se entri prima, torni prima e stiamo insieme”, tutto questo tirandomi delicatamente per la giacca fino alla porta, per poi spingermi fuori al momento giusto e sbattermi sul pianerottolo con un colpo secco. Me lo immagino che si richiude la porta alle spalle e tira un sospiro di sollievo all’idea che per 10 ore andrò a disseminare altrove la mia ansia di produttività inespressa.

Ma io sono furba come una faina e certe volte, per sfuggirgli e impedirgli di porre fine alla mia deriva procrastinatrice, mi chiudo in una stanza. So che mi sta cercando per casa, e che a breve mi troverà. E quando alla fine mi recupera e riesce a farmi uscire, tutto ciò che rimane di quei minuti di terrore sono 329 provini di orridi selfies che non vedranno mai la luce.

PS Manco a farlo apposta, su Zenhabits è appena uscito questo post: pura casualità? Noi non lo crediamo affatto.


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