Magazine Libri

Una vita on the road, intervista a Giulia Raciti

Creato il 28 agosto 2012 da Tipitosti @cinziaficco1

 

Sulle orme di Kerouac e Chatwin.

E’ così che Giulia Raciti, www.viaggiare-low-cost.it siciliana, classe ’80, una Laurea in Scienze della Comunicazione, un Master in Economia e gestione della comunicazione e New Media,  ha trovato la sua strada. Ci è arrivata con  l’aiuto di Franco Paloscia, giornalista e scrittore di viaggi, che le ha insegnato una cosa: inseguire il proprio istinto porta dritti alla felicità.

In effetti, da quando ha imparato a non assecondare più i desideri di mamma e papà e a vivere “on the road”, Giulia è tornata a sentire di nuovo piena e stimolante la sua vita. Il percorso non è stato semplice, ma ci è riuscita.

Una vita on the road, intervista a Giulia Raciti
“Ho cominciato a lavorare come account manager in una web agency romana – racconta –  avevo 22 anni e ho lavorato per la stessa agenzia sino ai miei 27, quando, desiderosa di cambiare lavoro, mi sono accorta che le prospettive nella Capitale erano scarse e poco allettanti. Per questo motivo in poco più di due mesi ero una disoccupata per volontà e con valigie in mano ero pronta a trasferirmi a Londra. Il primo anno ho lavorato come cameriera. Il mio inglese era pessimo e ci sono voluti ben dieci mesi per sentirmi pronta ad affrontare un colloquio di lavoro, che avesse a che fare con la mia professione precedente. Comincio a lavorare come Assistant Marketing Manager Italia per una compagnia internazionale, che opera esclusivamente online. Dopo qualche mese mi è stata offerta la possibilità di lavorare come SEO executive per il mercato Italiano. Ho lavorato come Seo per la stessa compagnia sino a Gennaio 2011, mese in cui con uno zaino in spalla sono partita alla volta del mondo. Mi sono dimessa. Perché? Non ero più felice e mi sembrava di vivere una vita, che non era la mia o almeno non era quella che desideravo. Mi sentivo costretta in un ruolo e in una città, che non mi appartenevano. Non sapevo che il viaggio si sarebbe protratto per più di due anni.  Volevo solo andare via per qualche mese prima di trasferirmi a Berlino. Dopo anni vissuti in una città senza sole, l’unica cosa che volessi, era vivere l’estate.  Nessuna intenzione profonda quindi, solo qualche mese di relax e la pelle abbronzata”.

E’ cominciato così. “Come Kerouac e Chatwin? – si chiede-  forse lo sono sempre stata e non lo sapevo. Mi sono sempre contraddistinta per un carattere irrequieto e mobile, faccio tante domande, cerco le risposte, mi piace lo sconosciuto e la vita di strada, mi piace viaggiare in autobus, che è il luogo per eccellenza, assieme ai mercati centrali, dove tocco con mano la vita locale, gli usi e le abitudini. Sono alla continua ricerca e mi stupisco in continuazione. Per me on the road significa letteralmente “sulla strada”, seguo itinerari non prestabiliti, ma cammino e sono alla continua scoperta di qualcosa. Non mi chieda, però, di cosa, perché non lo so!

 Ci aiuti a capire perché una scelta così radicale!

La mia  intenzione era di stare via per sei mesi. Quando poi, a un mese dal ritorno, luglio 2011, mi sono trovata con un biglietto per Catania in mano a fine estate e il sogno nel cassetto per Berlino che continuavo a covare, non ho visto alternative. Aspettare la primavera (Berlino è nota per il freddo polare in inverno) a Roma nella speranza di trovare un lavoro o continuare a viaggiare sino alla primavera 2012?  La scelta non è stata difficile, la risposta mi sembrava ovvia. Ero ancora in Messico quando ho comprato il biglietto aereo per fare il giro del mondo

Come nasce la passione per i viaggi? 

Una vita on the road, intervista a Giulia Raciti

Viaggio sin da quando sono piccola. Mia madre in particolare mi ha sempre spinta a partire anche quando non volevo. A 14 anni sono partita da sola per l’Inghilterra a studiare l’inglese. Ho fatto questa stessa esperienza sino ai 18 anni. Con l’arrivo delle compagnie aeree low cost i miei viaggi sono aumentati. Così ho iniziato a fare valigie ogni due mesi.
Forse quindi devo ringraziare i miei che, senza saperlo, stavano preparando le giuste basi per portarmi sino a questo punto.

 

I suoi genitori, sì, ma c’è stato anche il contributo del suo prof. E’ così?

Lo chiamavo il Prof, ma è stato molto di più: un padre, un sostenitore, un datore di lavoro e professore di tesi all’università. E’ stato lui, il primo, a darmi fiducia quando io per prima non sapevo cosa volessi fare.  Lui, Franco Paloscia, giornalista e scrittore di viaggi ha ricoperto un ruolo importante nella mia vita. Mi disse per primo che avrei dovuto fare come professione quello che mi piaceva e non quello che piaceva ai miei genitori. Sapeva che avrei viaggiato. Per la laurea mi regalò un moleskin e il libro In Patagonia di Chatwin. Era sicuro che avrei fatto qualcosa di grande. Spero di non averlo deluso.

 

Il suo primo viaggio in Marocco è stato una fuga, una terapia, o cosa?

In effetti è stato una fuga/terapia. Si arriva a un certo punto nella vita in cui è necessario recidere i cordoni ombelicali. Io avevo un forte conflitto con la mia famiglia. L’ho sempre identificato con un complesso di Elettra molto forte.  Al tempo non esistevano smartphone e iniziavano a nascere gli internet point. Credevo che in Marocco i telefonini non prendessero. E’ stata letteralmente una fuga per capire cosa non andava nel rapporto con la mia famiglia. Da quel viaggio sono tornata rigenerata e cambiata. Una sfida con me stessa. Almeno quella l’avevo vinta. Sono partita da sola e con uno zaino in spalla. Ho viaggiato per quasi due mesi ed è stato tutto naturale ed incredibilmente semplice. Quel viaggio tra tutti posso annoverarlo come il primo vero viaggio che abbia fatto e ancora oggi il più emozionante. Poi avevo scelto il Marocco, perché il biglietto aereo costava poco! Era il periodo degli attentati terroristici e pochi volevano andare in Paesi mussulmani. Era da poco scoppiata una bomba a Rabat. La cosa, invece di spaventarmi, mi ha fatto pensare che per il calcolo delle probabilità non sarebbe dovuto succedere  ancora a distanza di due mesi. Ho avvertito i miei a biglietto fatto e sono partita.

Una vita on the road, intervista a Giulia Raciti
Viaggia sempre sola?

Perché nessuno mi ha mai voluto accompagnare. C’è chi prima mi dice di sì, poi non mantiene la promessa. È sempre andata così. Ho capito anni fa che se non fossi partita anche sola, non sarei partita più. E poi, diciamocelo, ho imparato ad apprezzare il viaggio da sola, perché mi dà molta più indipendenza e libertà. Sono fatta così, se voglio una cosa faccio il possibile per realizzarla, da sola o in compagnia.

 

Non ha paura?

No, perché dovrei? Il mondo non è così pericoloso come lo si dipinge. Io sono stata scippata a Londra in un’area residenziale alle 8 del mattino, di fronte la porta di casa e non mi è mai successo nulla in un anno e mezzo di viaggio tra Centro e Sud America, Caraibi, Asia e Oceania. Se si prendono le giuste precauzioni e si considera sempre in quali Paesi si sta viaggiando, non si corrono pericoli. Tutto il mondo non è Paese, ci sono alcune zone più pericolose di altre, è vero, ma bisogna sempre prendere tutto con il beneficio del dubbio. Quando mi si dice che il Messico, il Guatemala o la Colombia sono pericolosissimi, io prendo il giudizio con molta cautela. Non confondiamo il narcotraffico e le guerriglie – aree dove non si non andrà mai- con piccoli delitti di strada.

Quanto la rendono forte queste esperienze? 

Ho vissuto a Londra per quasi quattro  anni. Ho imparato lì a sapere stare da sola. Londra è un porto di mare, conosci migliaia di persone di tutto il mondo e prima o poi tutti vanno via e tu ti ritrovi a dovere ricominciare tutto daccapo. Viaggiare sola per me significa solo prendere aerei da sola, a volte spostarmi in bus da un posto all’altro in solitudine, ma per la maggior parte del tempo sono in compagnia di altri viaggiatori. Sono io che decido quando voglio stare sola e quando in compagnia. Viaggiare sola mi dà libertà. Libertà di scegliere cosa voglio fare, come e quando. Certo, viaggiare, mi toglie la gioia di potere condividere alcuni momenti con qualcuno, a cui voglio bene.

 

Ci racconta in breve la sua esperienza più tosta?

Raccontare quasi due anni in viaggio non so quanto possa essere breve!
Viaggio ininterrottamente da gennaio dello scorso anno. Ho visto tanti di quei posti, che a volte devo fermarmi, perché rischio di non emozionarmi più di fronte a qualcosa, per cui le persone sono disposte a viaggiare per 20 ore.  Ho letteralmente fatto il giro del mondo: partita dai Caraibi (Cuba e Giamaica) sono risalita da Panama sino al Messico. Sono tornata in Europa ad agosto 2011 e ripartita a fine settembre per il Sud Est Asiatico. A fine febbraio ero in Australia, poi alle Fiji, a marzo in Nuova Zelanda e da fine Aprile in Sud America, dove rimarrò sino ad aprile 2013.

Il momento più tosto?

Questo risale al viaggio in Marocco in realtà. Mi ero persa e ho chiesto informazioni a un signore, come ero solita fare. Lui mi ha chiesto di seguirlo.  Voleva che entrassi a casa sua. Mi sono sempre fidata, ma in quell’occasione il mio istinto mi diceva di non farlo e avevo ragione. Al mio rifiuto ha iniziato a urlare, strattonarmi. Cercava di spingermi dentro casa, sono scappata. Mi ha rincorsa per le strade del villaggio pieno di persone, che guardavano senza fare nulla.  Sono riuscita a salire su un taxi al volo e andare via.  La paura è passata dopo poco:  una mela marcia non poteva cambiare la mia opinione su quella splendida terra e le sue persone, che mi hanno sempre accolta a braccia aperte.

Quindi qualche volta ha avuto paura, ha provato la sensazione di non farcela!

Una vita on the road, intervista a Giulia Raciti

Si ho avuto paura di non farcela ad inizio viaggio. Ero a Cuba, a La Habana per l’esattezza.  Sino a quel momento non avevo realizzato cosa stavo per fare. Tutto era stato talmente tanto desiderato e veloce che non avevo mai messo in dubbio nemmeno per un attimo la mia scelta.  Quando mia sorella – ho viaggiato per le prime due settimane con lei – è andata via, ho avuto molta paura e sono stata colta da due crisi di panico nel mezzo della città. Mi sono data tre giorni per superare questa paura. Se non ci fossi riuscita in tre giorni, avrei comprato un biglietto di ritorno direttamente da Cuba.  Il primo giorno sono andata in giro per trenta minuti e sono tornata a casa. Il terzo ho passeggiato per circa un’ora e mezzo. Il terzo era passato tutto e mi sentivo forte. Mi sono resa conto che le mie erano paure insensate e tutto era nella mia testa. Ho dovuto lavorare molto su questo, stavo combattendo contro me stessa.

 

Chi le è stato in qualche modo sempre vicino?

La mia famiglia, sempre. Mamma, papa e le mie due sorelle. Loro sono i primi che mi sostengono, che mi ricordano quanto sono orgogliosi di me. Qualsiasi cosa succeda sono sempre con me.

 

Una persona che le è rimasta impressa nei suoi viaggi?

Oh tante. Tanti viaggiatori alcuni dei quali mi hanno ispirata e di cui parlo nel mio blog, locali che mi hanno aperto le porte, mi hanno dato da mangiare e un posto dove dormire. Nessuno ha la priorità su nessuno, il mio viaggio in solitaria è costellato da persone speciali e fantastiche.

 

Quanti Paesi ha visitato?

In questo anno e mezzo di viaggio sino ad ora ne ho visitati: 26. Entro aprile 2013 dovrebbero diventare 29, manca il pezzo grosso del Sud America,  tra cui il Brasile, dove credo viaggerò per circa due mesi.

Quale quello che le ha dato di più?

Domanda complicata. Tutti mi hanno dato qualcosa: la Nuova Zelanda la natura più bella e maestosa, la Birmania la gente più speciale della terra, la Malesia il cibo migliore del Sud Est Asiatico, la Giamaica quell’aria di libertà e spensieratezza e un mare da sogno, l’Argentina la carne migliore del mondo, la Bolivia mi ha lasciata “senza respiro” in tutti i sensi. Difficile scegliere, non crede?

 

Certo. Quello che l’ ha delusa?

Nessuno, tutti i Paesi, in cui sono stata, sono splendidi. Alcuni hanno le spiagge più belle, altri il cibo migliore, altri ancora le montagne, le persone più disponibili e socievoli. Ma è proprio la varietà, che mi mette in grande difficoltà, quando mi si fa questa domanda.  Credo che per ogni Paese abbiano inciso il mio stato d’animo e la compagnia, che avevo in quel momento.

 

Una vita on the road, intervista a Giulia Raciti
Come sceglie una destinazione?

Qui torna la questione budget. Scelgo in base ai soldi che ho a disposizione. Se avessi avuto molto sarei forse stata più tempo tra Australia e Nuova Zelanda, con  budget inferiori ho potuto viaggiare sul lungo termine tra Asia e Centro America.  Un altro metodo che uso frequentemente è Google Images: digito il nome della località che vorrei visitare e se le foto mi ispirano, considero la destinazione come meta di viaggio.  Infine potrà immaginare quanti amici sparsi per il mondo abbia! Voglio andare a trovarli! Si arriva a un certo punto in cui conta più la compagnia rispetto alla destinazione. L’Australia l’ho considerata solo perché ho tanti amici lì. Non l’ho visitata, sono stata con loro. Per me questo è stato più che sufficiente.

 

In genere il desiderio di viaggiare, andare tanto lontano, viene dopo un periodo non facile. Almeno per lei. Dopo c’è sempre stata la rigenerazione?

Credo di si, io sono partita dopo un periodo nero, in cui tutto sembrava sfuggirmi dalle mani. Volevo solo recuperare il mio sorriso e la mia tranquillità, non volevo nient’altro. Credo di esserci riuscita.

A lungo andare non rischia di essere risucchiata da una sorta di  dipendenza, ossessione da viaggio?

Non voglio ripetermi, ma per me il momento più bello del viaggio è quello in cui torno a casa.  Tra il viaggio in Centro America e il giro del mondo, c’è stato un mese in cui sono stata a casa. Ero felicissima e il giorno della partenza non volevo più andare via.  A me è sempre piaciuto viaggiare. Non smetterò di farlo, ma questo non significa che ho intenzione di viaggiare così come ho fatto in questi due anni per sempre. Voglio trovare una base e muovermi di tanto in tanto, al massimo per due o tre mesi. Sento di avere bisogno di stabilità.

 

La sua famiglia non l’ha sempre assecondata, è così? E’ stato difficile con i suoi genitori, almeno all’inizio?

I miei hanno perso le speranze con me anni fa. Parole loro. So che scherzano! Non è stato facile capire le ragioni delle mia scelta. Per loro sarebbe normale avere un lavoro in ufficio e possibilmente per sempre, un marito e alla mia età forse uno o due figli. Ma vivo lontana da loro da quando avevo 18 anni. Mi hanno sempre dato fiducia e sanno che qualsiasi cosa faccia ha un motivo, per loro, ma solo per loro, difficile da capire. Non mi sono dovuta né imporre né arrabbiare. Mi hanno aiutata a fare lo zaino di viaggio, mi hanno portata in aeroporto, mi hanno sostenuta dal primo momento e continuano a farlo e, soprattutto, hanno ammesso che sono riuscita a fare qualcosa che avrebbero tanto voluto fare anche loro, ma che non sono mai riusciti a fare.

Come prepara i suoi bagagli?

I miei bagagli sono uno zaino di 70 litri e uno più piccolo, in cui tengo il computer e cose di valore. Ce l’ho sempre con me.  Lo zaino di viaggio pesa meno di 18 chili. Ho cose per il caldo, il freddo e una collezione di bikini. Il peso principale è dato dalla toilette.  Senza di quello che occorre per il bagno, il peso non supererebbe  i 10 chili.  Non mi servono più di ore per fare la valigia. Metto tutto su un letto e inizio a selezionare, Devo viaggiare leggera o finirò per odiare le cose inutili, che ho in spalla! Ormai ho un metodo e una lista.

 

Un oggetto che ha sempre con sé? Uno che scorda sempre?

Il computer è sempre con me. Quelli che mi scordo sempre sono le creme solari!

 

Uno di cui non sente mai l’utilità?

Il cellulare. Ce l’ho, ma è scarico da circa tre mesi.

 

Un libro che porta sempre e che fa da guida?

I libri li leggo e li scambio. Un libro è pesante e quando si viaggia zaino in spalla meglio stare leggeri. Gli ostelli permettono di fare scambio di libri. Approfitto di questa opportunità. Leggo di tutto, soprattutto in inglese. In italiano è praticamente impossibile trovare libri. Gli italiani non viaggiano molto o non viaggiano come faccio io.

 

Conosce tante lingue?

Parlo correntemente tre lingue: italiano, inglese e spagnolo. In Brasile spero di migliorare il portoghese. Prima di partire da Londra stavo studiando il Tedesco. Conosco chi ne parla correntemente cinque. Direi che sto nella media nord europea.

 

Quante vaccinazioni ha fatto?

Una sola. Vaccino per la febbre gialla.

Quanto durano i suoi viaggi?

I miei viaggi durano mesi. Il prossimo durerà quasi due anni e mezzo

 

Quanto costano?

Costano poco o relativamente poco. Se si va in Australia o Nuova Zelanda ovviamente i costi aumentano. Ma in Sud Est Asiatico e Centro America il budget era circa 500 dollari il mese. In Sud America occorre un po’ di più per i mezzi, viste le distanze notevoli. Buona parte del budget lo impiego nei biglietti di bus.

 

Come li paga? 

Lavoro come copywriter e seo free lance

 

Come si muove?

Rigorosamente in autobus. Io amo viaggiare in bus, anche quando questi sono scomodi o antidiluviani. Odio volare.

 

Ha mai pensato di fermarsi per sempre in un posto?

Per sempre no, voglio vivere in Europa: questa è l’unica certezza che ho. Spero di riuscire a trasferirmi a Berlino quando torno.

 

Un Paese  in cui non vivrebbe mai?

Non vivrei mai nei Paesi che mi sono piaciuti di più: Bolivia e Birmania. Paradosso, eh?

Una vita on the road, intervista a Giulia Raciti
Non pensa che uno in pace con se stesso stia bene anche rimanendo per anni in uno stesso posto?

Si, assolutamente. Infatti io non viaggio per ritrovare me stessa, ma solo perché mi piace.

 

Si sente una tipa tosta?

Abbastanza, ma solo per un motivo. Ho cambiato la mia vita, dandole la direzione che volevo, anche se avevo paura di sbagliare tutto. Mi sento tosta, perché anche quando tutti sembravano remarmi contro, io perseveravo, convinta delle mie idee. L’ho sempre fatto. Quando poi quelle stesse persone che mi scambiavano per matta ora mi ammirano, mi sento una tipa davvero tosta.

 

Prossimo viaggio?

Attualmente sono in Ecuador. Tra qualche settimana vado in Colombia a cui seguiranno Venezuela, Brasile, per poi tornare in Argentina. Se tutto va secondo i miei piani molto approssimativi ad aprile 2013 mi trasferirò a Berlino. Se devo pensare a un prossimo viaggio, beh, tre mesi, tra India e Nepal o Sud Africa, Kenya e Zanzibar

 

Quali consigli sente di dare ai lettori di questo blog?

Che i tipi tosti sono persone normali, che hanno dei sogni e fanno il possibile per realizzarli, remando a volte contro corrente. Non bisogna essere dei supereroi per fare quello che faccio io e fanno migliaia di persone. Bisogna solo prendere coscienza del fatto che tutti siamo speciali e possiamo realizzarci, facendo quello che ci piace. Certo, è difficile prendere decisioni forti come dimettersi e andare via, cambiare città o Paese. Ma rischiare non solo rende la nostra vita più eccitante, ma potrebbe portare a risultati inaspettati. Basta solo seguire le proprie passioni e il proprio istinto: non si sbaglia mai. Se poi le cose non vanno come si sperava, si può sempre tornare indietro senza avere perso nulla.  L’audacia è la virtù dei forti. Si dice così no?

                                                                                                                         Cinzia Ficco


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :