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Una vita quadrilingue

Creato il 09 marzo 2012 da Kata
Si parla molto di bilinguismo, delle difficoltà e dei vantaggi che esso comporta, soprattutto in relazione ai bambini. Ma che si può dire di un quadrilinguismo formato in età adulta? Il quale sarebbe il mio caso. Anche se più che quadrilingue sono una bilingue "extended version", nel senso che delle quattro lingue che uso soltanto due sento davvero mie (l'ungherese e l'italiano).
La mia situazione è particolare per due motivi. Primo perché fino all'età di 22 anni circa ero assolutamente monolingue. Avevo già studiato altre lingue (l'inglese e l'italiano) prima, ma non le sapevo a tal punto da ritenermi bilingue. Le parlavo maluccio, insomma. E ragionavo esclusivamente in ungherese. L'italiano ha cominciato a prendere i suoi spazi nel mio cervello a partire dall'esperienza Erasmus, e pian piano ha conquistato sempre più terreno, anche grazie ai legami sentimentali che mi hanno poi riportato in Italia. Il fatto di conoscere quattro lingue di per sé non è una cosa così straordinaria. Ci sono milioni di persone nel mondo che parlano quattro e più lingue. Il punto è, e questa è la seconda particolarità della mia situazione attuale, che queste quattro lingue io le uso tutti i giorni. Vivo la quotidianità in quattro lingue. Scrivo e leggo molto in tutte e quattro, ascolto molto soprattutto lo svedese e l'italiano, mentre parlo molto l'inglese e l'italiano, un po' meno l'ungherese (quando sento i miei) e ancora meno lo svedese (quando mi faccio coraggio). Mi sono fermata un attimo a pensare come funziona questa vita quadrilingue per me. E da qui nasce questa riflessione.
Innanzittutto il mio è un quadrilinguismo "zoppicante" in quanto lo svedese non lo parlo ancora bene. Nonostante questo lo uso tutti i giorni. Soprattutto per iscritto. Leggo abbastanza e le mail di lavoro di natura amministrativa cerco di scriverle in svedese, tempo permettendo. Come comparatista ho il privilegio di usare tutte e quattro le lingue nel mio lavoro. Le mie pubblicazioni sono in inglese, italiano o ungherese, dipende per quale rivista, editore o convegno sto scrivendo. Come ricercatrice lavoro ancora molto più con gli italiani e gli ungheresi che con gli svedesi.
Il mio italiano non è perfetto, ma ormai non lo è neanche il mio ungherese. Spesso mi fermo a pensare come si dice qualcosa in ungherese quando scrivo perché ho paura di usare un'espressione inappropriata o inesistente. Tanto meno perfetto è il mio inglese. Perciò, tra me e me, mi lascio totalmente andare alla spontaneità del mio cervello. I miei appunti sono trilingui, la mia agenda è trilingue. Il mio blog è in italiano, ma il mio diario è in ungherese. Penso in un misto di italiano e ungherese (ma prevale l'italiano dato che è la lingua che parlo più spesso, a casa con Gabriele e con altri amici italiani qui a Örebro o per via virtuale). Il mio cervello sta bene così. Non si sente confuso. Finché... Finché non deve relazionarsi con gli altri in più lingue nello stesso contesto. Vale a dire in un ambiente internazionale. Due lingue le gestisco ancora benissimo. Quando diventano tre o più, allora comincia il casino...
La settimana scorsa siamo andati a sciare qualche giorno in Austria con mia madre. Il suo compagno (che non è mio padre) è austriaco. Vivono in Ungheria, ma passano spesso del tempo anche in Austria, come per esempio in settimana bianca. Sono una coppia buffa, perché lui parla tedesco, lei parla ungherese e si capiscono. Io non parlo tedesco. A forza di sentirlo parlare spesso capisco diverse parole, e il primo anno del dottorato ho pure frequentato un corso di tedesco a Firenze, ma con scarsi risultati. Con il compagno di mia mamma parlo in ungherese (almeno con me è costretto, a lei può rispondere in tedesco...). Gabriele non parla né l'ungherese, né il tedesco. Con i miei parla in inglese (anche con mio padre). Ecco. Immaginate le nostre cene in famiglia. In quel contesto mi capita di rivolgermi ad una persona nella lingua sbagliata. Mia madre qualche grossa risatasi è già fatta quando le parlavo in italiano. E la cosa sconcertante è che finché lei me lo dice non ho idea come mai mi sta ridendo in faccia mentre io semplicemente le ho chiesto fino a che ora è aperto il supermercato. In italiano. Lei non sa una parola di italiano. Va bene, forse "pizza", "pasta", "spaghetti", ma già "buona notte" la devo rispiegare ogni volta se no dice "buenas noches", memore delle sue reminiscenze di spagnolo che ha studiato per un po' trent'anni fa. Mi chiede spesso come si dice questo e quello in italiano e poi lo dimentica sistematicamente. E chiama l'aceto balsamico, che le piace molto e in casa c'è sempre, sempre "acetico balsamico" (devo ammettere, suona più melodico...) nonostante io la corregga ogni volta. E' da poco che mi sono arresa e non la correggo più.
Insomma, ci sarebbe ancora molto da dire di questa vita quadrilingue, ma mi sono già dilungata troppo, quindi lascio le altre riflessioni per qualche futuro post...


La canzone ungherese in appendice
Continuando sulla scia del post precedente, vi faccio conoscere un altro grande esponente del rock ungherese degli anni Ottanta: i Karthago. Un gruppo dalla vita breve, ma a più riprese, e da un discreto successo internazionale (il loro primo album è stato tradotto in inglese ed è diventato disco d'oro anche in Austria). Fondati nel 1979 e sciolti nel 1985, si sono riuniti più volte durante gli anni Novanta per dare qualche megaconcerto. Questa canzone è una delle prime e più famose dei Karthago, e c'è chi la considera l'inno del rock ungherese. Il testo è molto importante. Considerate che è stata scritta nel 1981, in piena crisi del regime socialista.
Karthago - Apáink útján (1981)

Sulle vie dei nostri padri
Indaghiamo da dove siamo venuti,
Esaminiamo straniti le nostre mani.
Da mille anni ormai che abbiamo imparato a cosa servono bocca e cuore,
Ma ancora non sappiamo e non capiamo dove arriviamo.
Alberi centenari, storia,
Abbiamo devastato boschi e terre,
Cerchiamo gli anni passati,
Contiamo gli anelli annuali,
Da mille anni ormai che abbiamo imparato a cosa servono bocca e cuore,
Ma ancora non sappiamo e non capiamo dove arriviamo.
Percorriamo ancora le vie dei nostri padri,
balliamo le danze dei nostri avi da tempo,
Il magico cerchio lo crediamo una via nuova,
E spesso viviamo come loro.
Alberi centenari, storia,
Abbiamo devastato boschi e terre,
Cerchiamo gli anni passati,
Contiamo gli anelli annuali,
Da mille anni ormai che abbiamo imparato a cosa servono bocca e cuore,
Ma ancora non sappiamo e non capiamo dove arriviamo.
Percorriamo ancora le vie dei nostri padri,
balliamo le danze dei nostri avi da tempo,
Il magico cerchio lo crediamo una via nuova,
E spesso viviamo come loro.
E la versione inglese della canzone con cui hanno vinto un festival internazionale nel 1983. Nel video vedete anche il testo (in inglese) che è una buona traduzione dell'originale.
Karthago - Requiem
Forse non devo spiegare perché mi piace di più la versione ungherese. Per me sono entrambe canzoni da brividi... Guardate questo video dal loro ultimo concerto (di tre anni fa):

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