Chiudo questo anno con la visione, un po’ in ritardo, di un film travolgente. Sto parlando di Una vita tranquilla, di Claudio Cupelllini, forse il migliore film prodotto in Italia dal tempo di Gomorra e Il divo e forse il mio film dell’anno (lo so, lo avevo detto anche per Inception. Ma sono cose talmente diverse...).
La pellicola di Cupellini entra sotto la pelle e scende a vari livelli, come vari sono i livelli di lettura: la storia della camorra all’estero, il rito d’iniziazione dei giovani affiliati (che dopo Duisburg assume una luce ancor più sinistra), la storia dell’incontro tra un padre e il figlio abbandonato.
In tutto ciò, tuttavia, ciò che mi ha particolarmente sconvolto è stato piuttosto ciò che si legge fra le righe per tutta la visione del film: una sensazione di prigionia allucinante che mette perfino disagio.
Ciò che trapela così ostinatamente dal film – almeno ai miei occhi, ancor più della fatalità, ancor più dell’ineluttabilità degli eventi – è quella contaminazione che coinvolge i tre protagonisti: la perdita della propria libertà individuale, che pare essere il pegno pagato alla camorra, in cambio di lavoro e soldi.
Una volta affiliati non si può più ragionare con la propria testa, non si può più fuggire, non si può neppure uscirne. Si è ormai parte di un sistema che avvolge, coinvolge, che decide per te e di te per tutta la tua vita. È una moderna schiavitù ancor più subdola di quella dei papponi sulle prostitute. Gomorra non era riuscito nell’intento di farmi sentire in modo così pieno, così reale, questo semplice dato di fatto.
A tutti voi, amici e occasionali lettori che passate di qua, non posso fare alcun augurio migliore per il 2011. Di non perdere mai la propria libertà di pensiero, di azione, di scelta. Questo è davvero quanto auguro ad ognuno di noi.Chiudo questo anno con la visione, un po’ in ritardo, di un film travolgente. Sto parlando di Una vita tranquilla, di Claudio Cupelllini, forse il migliore film prodotto in Italia dal tempo di Gomorra e Il divo e forse il mio film dell’anno (lo so, lo avevo detto anche per Inception. Ma sono cose talmente diverse...).
La pellicola di Cupellini entra sotto la pelle e scende a vari livelli, come vari sono i livelli di lettura: la storia della camorra all’estero, il rito d’iniziazione dei giovani affiliati (che dopo Duisburg assume una luce ancor più sinistra), la storia dell’incontro tra un padre e il figlio abbandonato.
Tuttavia, ciò che mi ha particolarmente turbato è stato piuttosto ciò che si legge fra le righe per tutta la visione del film: un qualcosa che coinvolge nel profondo l'anima dei tre protagonisti e che è, di fatto, la perdita della propria libertà individuale, il pegno pagato alla camorra, in cambio di lavoro, soldi, protezione.
Una volta affiliati non si può più ragionare con la propria testa, non si può più fuggire, non si può neppure uscirne. Si è ormai parte di un sistema che avvolge, coinvolge, che decide per te e di te per tutta la tua vita. È una moderna schiavitù ancor più subdola di quella dei papponi sulle prostitute.
Il film Gomorra non era riuscito nell’intento di farmi sentire in modo così pieno, così reale, questo semplice dato di fatto.
A tutti voi, amici e occasionali lettori che passate di qua, non posso fare alcun augurio migliore per il 2011. Di non perdere mai la propria libertà di pensiero, di azione, di scelta. Questo è davvero quanto auguro ad ognuno di noi.
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